19 marzo. E FESTA DEL PADRE SIA

San Giuseppe
San Giuseppe

LA FESTA DEL BABBO può essere, per qualcuno, qualcosa di semplicemente esteriore, come un San Valentino da mordere e dimenticare un istante dopo.

Ma quando si ha la mia età e quando la vita la abbiamo vissuta piena e dura, pesante e lieve, felice e nera come a me è toccato – a me troncato da tanti bravi avvocati e splendidi magistrati della tenebra e dell’ingiustizia, o direttori di giornali dei miei stivali o colleghi bugiardi e falsi testimoni – allora la festa del Babbo è dentro, conficcata come la croce di Cristo sul Golgota.

Grazie all’umanità disumana se oggi, 19 marzo 2016, San Giuseppe, io ricordo mio padre – anche lui falegname, di Quarrata e primo fra loro – come una prensenza viva anche dopo la morte: scomparve, infatti, roso dal cancro il 24 ottobre 2001, ma in silenzio e con la “morte del giusto”, obdormiens in Deo, “addormentandosi in Dio” senza accorgersene nonostante la sua immane, insopportabile sofferenza fisica.

Io, oggi, lo ricordo sorridente e vestito da festa (perché allora il 19 marzo fu un rosso sul calendario), quando venne con l’auto a prendermi agli Olmi, sulla Statale 66, quel 19 marzo 1967, data in cui il Professor Lanfranco Caretti mi fece sostenere l’esame di Letteratura Italiana all’Università a Firenze: era un socialista, Lanfranco; non credeva alle feste religiose e mi interrogò proprio per la festa del Babbo.

Per l’esame avevo La mandragola del Machiavelli e gli Ossi di seppia di Montale. Di Pietro non si ricordava con chi si era laureato; io ricordo tutto come fosse ieri… Andò bene l’esame con Lanfranco. Mi ero prepararto sia sui miei appunti che su quelli che mi aveva passato una compagna, la dolcissima e dolente Maria Rita Soverchia, che se n’è già andata da anni, prima di tutta la nostra classe. Fu questa la festa del Babbo, allora, e fu anche la mia e la sua festa.

Oggi mio padre, che mi era accanto e mi svegliò dall’arresto cardiaco nel luglio del 2010 («Svegliati – mi disse in sogno: ed era in piedi accanto a me, alla mia destra –… Svegliati… Non senti che ti stanno chiamando…?»), è ancora accanto a me. Ed è più vivo di prima.

Non se ne è mai andato in questi tre lustri trascorsi di lontananza abissale.

Dopo la sua scomparsa scrivevo i miei libri per Rizzoli, traducevo la Bibbia, ma parlavo con lui, lo avevo accanto e piangevo. Come ora.

E oggi mi parla ancora – come spero che ogni padre partito parli a tutti i figli della terra. Di questa terra insopportabile e piena di inutile, intollerabile sofferenza e disperazione nonostante Dio e il Pd.

Nessuno può togliermelo, neppure lo Stato. E gli dedico questa lirica di Pablo Neruda:

A MI PADRE

A Dios doy gracias por ser mi padre.
Por tus reproches y consejos.
Por el bien que me enseñaste
y de mi ser siempre cuidaste. 

Por ser padre bondadoso,
lleno de paz y sabiduría.
Porque amas la verdad.
Justicia y rectitud en demasía. 

Por ser mi padre amado
y enseñarme la caridad.
Sentimientos nobles te cubren.
No conoces la maldad. 

Caballero noble y parco,
me enseñaste a luchar.
Aspirando siempre a lo más alto
y a mis sueños no renunciar. 

Por aborrecer todo lo malo.
Por tus celestiales valores.
Por guiarme de la mano
en senderos llenos de flores.

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