Alla notizia che perfino don Piergiorgio Baronti mi aveva querelato e che un Pm mi aveva rinviato a giudizio solo perché comunque reo per aver pubblicato la lettera di una famiglia ossessionata dal baccano infernale della Capannina del Bottegone, un caro amico se non si è sentito male, c’è mancato davvero poco. D’altronde questi sono i tempi dell’Italia e, nello specifico, di Pistoia e di certa mentalità che regola le sorti del mondo su princìpi di bigottismo politico, morale e religioso
«Stavo passeggiando quando sentii una voce dire “Buonasera signor Dowd!”. Io allora mi rivoltai e ti vidi questo grande coniglio bianco appoggiato a un lampione. Non ci vidi nulla di strano perché quando uno ha vissuto in una città quanto ho vissuto io in questa, si fa l’abitudine al fatto che tutti conoscano il tuo nome»
[dai dialoghi del film]
UN PAIO DI GIORNI FA, parlando con un amico e commentando i miei arresti domiciliari che, obiettivamente, non stanno né in cielo né in terra (posso esprimere un’opinione o rischio qualche mese in più di galera?), c’è caduta in mezzo la notizia che ormai a Pistoia il concetto di base è uno solo: tappare la bocca al Bianchini e invogliarlo a smettere di “sagagnare i maroni” (dialetto di Porretta) alla società civile.
Per società civile a Pistoia si intende, indistintamente, chiunque abbia un ruolo pubblico ritenuto appena più alto e più importante di quello del giornalista che pensa con il suo cervello: perché il giornalista, se fa il suo mestiere come si deve, rompe; mentre gli altri – tutti gli altri che hanno un po’ di potere e non di rado di podere… –, garanti dello status quo, servono a mantenere il popolo a testa bassa (punirne uno per educarne cento), sul tappeto e orientata verso la Mecca. Ed è questo ciò che va bene a tutti, cioè la maggioranza dei ben-pensanti.
Dopo aver saputo degli esiti dell’azione di don Baronti e dopo aver letto la lettera di protesta dei “molestati nel sonno”, il mio Harvey, preoccupato, scrive: «In effetti non capisco la ratio della querela donbarontiana. Ti ha mai chiesto una sorta di diritto di replica? Nel caso affermativo, tu non lo hai concesso?».
Io concedo sempre tutto a tutti: e tutti lo sanno bene. Rispondo facendo leggere ad Harvey la lettera di don Baronti che parla della faccenda del rumore alla Capannina: ma il prete non chiede nessuna rettifica. Tuttavia minaccia di verificare “se le cose lamentate siano o no vere” (ed ha ancora memoria, dopo anni, di una polemica su un tappeto da lui acquistato a Istambul, una città da gemellare subito con Pistoia, visto che anche sul Bosforo i giornalisti che informano, grazie a quel gran democratico di Erdoğan che vuole entrare in Europa, finiscono in galera).
Harvey aggiunge: «Nel caso negativo, perché querelare un giornalista che ha pubblicato una lettera di protesta?». E prosegue dicendomi: «Il tuo torto è pensare che il giornalismo sia ancora, localmente, possibile quando ormai l’unica alternativa possibile è pubblicare i comunicati stampa integrali oppure in sintesi».
Quest’ultima affermazione è di uno sconcertante scoramento: e mostra che il mio giudizio sulle cronache di Narnia/Pistoia (da anni sostengo che qua si parla solo di frittelle, pizza, gelato e sport, con qualche eccezione per migliacci, frugiate e necci) è assolutamente la fedele rappresentazione della realtà.
Era difficile fare il giornale negli anni 60, ma si faceva e senza troppi problemi. Ce lo insegnava Valeriano Cecconi con il suo stile “garibaldino” e nessuno querelava nessuno se non in casi estremi. Poi però, in questi ultimi 25 anni di arrembaggio al potere da parte dei radical margherito-pci, il cervello è andato in pappa e la Costituzione più bella del mondo (vero non-presidente Mattarella?) è finita appesa al chiodo del bagno. Del resto le libertà costituzionali le vedete e le vivete tutti in questi giorni di… alLock-down.
Harvey legge, dunque, la lettera di protesta da me pubblicata, e saggiamente commenta: «Io leggo il Corriere della Sera e dunque il Corriere Fiorentino che per lunghi mesi, specie con il direttore Paolo Ermini, ha condotto una dura battaglia contro la malamovida nel centro di Firenze. Ospitando sia le dure proteste dei residenti che le continue promesse dell’amministrazione comunale. Nessuna querela, ovvio».
Poi aggiunge: «Se io fossi il direttore di una testata che a differenza delle altre vuole fare giornalismo, sarei duro sui contenuti ma eviterei le forzature satiriche o, comunque, le terrei separate. Mi sa infatti che a irritare sono quelle… Ma siccome non lo sono (direttore), al mio amico direttore posso solo limitarmi a consigliare di separare satira e informazione».
È un consiglio e non è neppure malvagio in sé. E tuttavia non posso condividerlo e non posso accettare che lo possano condividere coloro che, in teoria, dovrebbero proteggerci dagli eccessi, cioè i vigili del traffico della giustizia, i Pm che non di rado prendono decisioni dando l’impressione di non essere quegli esseri superiori e assolutamente terzi, il cui dovere è vedere la realtà: e non cercare, ad ogni costo, di reindirizzarla e farla realizzare a seconda di certi loro discutibili punti di vista.
Che i giudici italiani non piacciano molto a quel carrozzone inutile e dispendioso che è l’Europa, è questione arcinota. Che poi, perlopiù, non siano informati delle regole europee portate avanti e propugnate dalla Corte dei Diritti dell’Uomo, lo si vede dalle cantonate che non di rado pigliano quando esigono che un giornalista (che è comunque uno scrittore, anche se in tono meno aulico e spesso un po’ quadrupede perché molti di loro non conoscono la lingua in cui pretendono di scrivere) debba “creare” adoperando il Manuale Cencelli del politicamente “non disturbate il manovratore”.
Peccato che il giornalismo debba essere proprio la fucina del disturbo e che la Corte Europea sostenga e ribadisca, senza soluzione di continuità, che non sta certo al giudice scegliere lo stile in cui un articolo o un titolo debba essere redatto e stampato.
Harvey poi continua: «Lo dico in generale, prescindendo da questo o quell’articolo. E lo dico da lettore, che spesso nei tuoi scritti si perde proprio per via dell’intreccio fra denunce giornalistiche e prese per i fondelli satiriche».
Opinione: e io la rispetto. Del resto nessuno costringe nessuno a leggere per forza Linea Libera, come qualche sventurato potrebbe pensare, ritenere e perfino sostenere – ovviamente errando. Il giornale è lì; gratis. Chi lo vuole e ci somiglia, lo piglia: gli altri hanno già tutte le sagre dei castagnacci che vogliono e tutta l’insostenibile pesantezza dei comunicati stampa passati da giornalisti-passacarte.
Alla fine Harvey si sveglia e dice: «Detto questo, i domiciliari sono una bestialità. Così come il silenzio dei colleghi e dell’Ordine. Io, a questo punto, li stupirei tutti. Comincerei a smettere il registro della satira».
Ma siccome io sono duro di cervice, rispondo ad Harvey inviandogli qualche bell’esempio di satira doc (Charlie Hebdo), amata dai nostrani radical filo-europeisti e dei salotti buoni, e neppur contestata troppo anche se mostra le divinità cristiane che si inculano. E ad Harvey chiedo: «Come la mettiamo con queste sconcezze?».
Lui replica: «Vedi, chi compra Charlie (o il Vernacoliere) non si aspetta – credo – giornalismo, ma, appunto, satira. Il mio consiglio è di separare le due cose. Fai un pezzo giornalistico senza metterci la satira. E magari, a corredo, fai una notazione satirica. Tutto qui… Ma conoscendoti continuerai a fare come ti pare».
Harvey ha ragione. Intanto, però, Linea Libera è gratuita. Per questo continuerò a fare come mi pare perché, qualsiasi sia l’opinione dei giudici, la gente ha ragione di lamentarsi quanto vuole, se non riesce a dormire perché la musica della Capannina o del Capannone o di Capannori gli fracassa i timpani e qualcos’altro.
Continuerò a fare come mi pare anche perché, dal mio punto di vista, un ministro del culto eccezionale come don Baronti, che bestemmia e aggredisce gli arbitri di gara direttamente in pubblico, non può (se non altro per sua cristiana carità, sulla quale, però, nutro molti dubbi) chiedere a un giudice di censurarmi perché “ho attentato al suo decoro e alla sua onorabilità”.
E questo perché non ne vedo alcuna ombra in giro. Dov’erano, infatti, decoro e onorabilità del ministro del culto, quando faceva il vandalo o l’unno ai margini del campo da gioco minacciando e insultando gli arbitri?
Buona serata a tutti i pistoiesi ben-pensanti.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
È chiaro che i cittadini semplici non hanno più alcun diritto?
Scaricate questo documento e leggetelo: vedrete se l’onor di don Baronti sia stato leso davvero o no.