Stamattina, 4 novembre, Franco Vannucci, ex-carabiniere e consigliere del Comune di Montale, con il suo senso delle istituzioni, ha pubblicato sul suo stato Whatsapp l’immagine che vedete sotto il titolo…
LA PROCURA DI PISTOIA È UN PROBLEMA

Sono cresciuto in caserma. Nella caserma di Quarrata del maresciallo Fenudi, sardo di Baunei. Suo figlio Mariano era mio coetaneo. Ero sempre per lì, con il figlio minore Pierluigi e il maggiore Francesco. C’era anche la cugina, una bella ragazza di cui, però, non ricordo il nome. La madre, Gesuina (mi pare) era un esempio di semplicità e di fede.
A quella caserma, più tardi, fu destinato un milite, Pasquale Silvestri, napoletano di Napoli, che poi sposò la mia cugina Romana. Posso dire, dunque, di essere cresciuto in caserma: una istituzione onorata e rispettata anche nelle figure in divisa.
Ripensando a quei tempi positivi, il paragone con l’oggi è letteralmente devastante e vi dico perché.
Stamattina, 4 novembre, Franco Vannucci, ex-carabiniere e consigliere del Comune di Montale, con il suo senso delle istituzioni, ha pubblicato sul suo stato Whatsapp l’immagine che vedete sotto il titolo: e non ho potuto fare a meno di sentirmi profondamente offeso dal modo con cui, oggi, le alte istituzioni dello stato (che non esiste) trattano i servitori della repubblica.
Franco Vannucci è la stessa persona che, durante un consiglio comunale, giunta Betti, còlse il professor Alessandro Galardini mentre, parlando delle forze dell’ordine, se ne uscì con un (cito a memoria, ma la registrazione è ancora là e pubblica) infelicissimo: «Non mi fido delle forze dell’ordine… e’ son tutti fascisti». Il sindaco Betti consigliò a Galardini di dimettersi. Galardini si dimise. Questo più o meno il fatto.
Commenti sui social: pro e contro. Un altro benemerito dell’arma, il luogotenente Sandro Mancini, commentò dicendo – cito sempre a memoria – che «una frase di questo genere era degna di certe derive brigatiste».

Dietro il commento di Mancini – uomo inviso alla procura di Pistoia –, l’attuale procuratore capo Tommaso Coletta, quello che era giunto a Pistoia e aveva promesso pubblicamente di voler lavorare per la «gente comune», dietro una sfacciata querela che non esito a definire (a mio avviso) strumentale e persecutoria proposta dal Galardini, aveva sorvolato sulle dichiarazioni del professore-assessore di Ferdinando Betti (art. 290 cp?), ed aveva rinviato a giudizio Sandro Mancini.
Il Mancini era stato capo della polizia giudiziaria dei carabinieri perseguitato da Renzo Dell’Anno e dalle sue propaggini e longae manus: da annientare solo perché Mancini più che prendere ordini dal procuratore, li prendeva, con somma prudenza, dalla legge stessa, in piena coscienza.
E già da qui – ed è solo una parte piccolissima della realtà – è possibile desumere il modus operandi del procuratore capo di Pistoia: con annessi e connessi di rispetto, onore e decoro nel seguire, con il dovuto rigore, quanto previsto dall’art. 54 della Costituzione, pluri-violata da tutti; a partire dai non-presidenti della repubblica in giù.
Sandro Mancini, che non ha mai inteso chinare il capo dinanzi alle pretese oblique della procura per facilitare certe mosse protettive di Dell’Anno e di certi suoi subalterni, fu rimosso dalla direzione della polizia giudiziaria-carabinieri di Pistoia e mandato nel dimenticatoio.
Questa è stata la gestione Dell’Anno, nel silenzio generale dei cosiddetti giornalisti di Pistoia, invitati a non far parola del processo-Mancini che si sarebbe svolto a Pistoia.
All’epoca io dirigevo Linee Future. E poiché personalmente la professione di giornalista io la ho sempre fatta con disciplina e onore, raccontai tutte le sconcezze (a mio parere) del primo grado e le vergogne (a mio vedere) dell’appello: da cui Sandro Mancini è uscito pulito, ma tuttora emarginato.
Fatto è che nessuno, con procure organizzate in questo modo, può sentirsi davvero al sicuro.
Io, per esempio, sono stato raggiunto dall’ostracismo bieco e cieco del giudice Luca Gaspari per un processo aperto a mio carico da Claudio Curreli, ma a cui si affiancò in aula – non senza un certo puntiglioso impegno – il sostituto Giuseppe Grieco.
Mancini è stato raggiunto dall’invio alle latomie grazie a Coletta. Ed è stato costretto a presentarsi in aula a difendere il proprio innegabile diritto di critica scambiato e classificato (i pubblici ministeri, purtroppo, possono questo ed altro) come diffamazione nei confronti del Galardini, a sua volta diffamatore delle forze dell’ordine che «sono fasciste».
Il processo si è chiuso ieri 3 novembre, con la remissione di querela da parte del professore-assessore di Ferdinando Betti. È accaduto a sorpresa, in aula, prima che l’udienza partisse. Né giudice (Barbara Floris) né pubblico ministero in aula se lo aspettavano. Io c’ero: e c’ero per vedere di persona cosa significa giustizia in questo paese.

Ma l’aspetto più inquietante – particolarmente indicativo del modo di comportarsi della procura pistoiese – è che, contrariamente a tutte le precedenti udienze, come sostituto della pubblica accusa in aula è stato mandato Leonardo De Gaudio, un togato.
Un togato, particolarmente vicino a Coletta, sprecato per discutere di una supposta diffamazione, non credete? Con le travi sei suoi occhi, la procura si perde dietro le pagliuzze?
Questo fatto mi rammenta un’altra vergogna a cui ho “assistito” (in metafora) qualche mese fa: la presenza in camera di consiglio, con il giudice Alessandro Azzaroli, del vice-capo-procura Giuseppe Grieco per discutere (pensate che cosa impegnativa!) un’ammenda di 150 €.
De minimis praetor non curat? Anzi! A Pistoia pare che si occupino dolo de minimis, se si pensa che i sostituti togati faticano perfino ad andare in aula per un omicidio o altro di ben più importante! Non si sono mossi di persona – se non sbaglio – neppure dinanzi al tribunale del riesame per la liberazione del vigile Manrico Cecchini di Montecatini, figuratevi voi!
Dinanzi al ritiro della querela sono rimasti tutti secchi. Non se lo aspettavano proprio.
Verrebbe voglia di riscrivere Se questo è un uomo di Levi con il titolo di Se questa è la giustizia di Pistoia…
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]