PISTOIA. Coraggio non manca davvero a Licia Lanera e Riccardo Spagnulo, che con il boia di turno che diventa vegano, carnefice e vittima, Mino Decataldo, hanno portato in scena “Lo splendore dei supplizi”, quattro punizioni, esemplari, elementi di innaturale contrappasso che sorreggono, certe volte in modo eccessivamente cerebrale, il filo della rappresentazione, la seconda, in scaletta della rassegna Teatri di confine.
La coppia, il giocatore, la badante e il vegano rappresentano, ognuno nella propria esasperazione, quattro tormenti biblici, velocemente riassunti e assorbiti in altrettante definizioni: l’equilibrio (precario), la chimera (ludopatica), il nazionalismo (razzista) e l’alimentazione (discriminante). Le coppie vivono sull’adrenalina iniziale del coup de foudre, per poi andarsi ad imbottigliare nelle abitudini che si sorreggono vicendevolmente sui ricatti e sulle comodità; l’amore che si trasforma in tacito accordo sottoscritto e che finisce per nutrirsi, spesso per tutta la vita, di sola rimpianta e compianta memoria.
L’analisi del testo, per nulla ingessato e pronto, siamo convinti, a dimagrire, all’occasione, come a prender su qualche chilo, se occorresse, è ricca, alcune volte troppo, di una miriade di riferimenti e richiami, ma scivola piacevolmente grazie alla elastica disponibilità e camaleontismo dei due protagonisti – appartenenti alle Fibre Parallele –, professionalità, le loro, già annotate da qualche premiazione attenta al nuovo che avanza.
Nella seconda dannazione, quella del giocatore, interamente recitata in dialetto (pugliese-barese), Riccardo Spagnulo riesce finalmente a slacciarsi i pantaloni e dare vita, corpo e piacere alla propria adrenalina, mettendo sul palco del piccolo teatro Bolognini, dove ieri sera è andato in scena lo spettacolo, se stesso, il proprio alter ego di stoffa, a cui presta la voce e tutto il nichilismo di una vita occupata dal gioco e le sue scommesse, dal calcio e i propri proseliti e dal totale annullamento dei sentimenti, anche dei più elementari, tanto che decide di uccidere la madre e conservarla nel congelatore per poter continuare a riscuotere la sua pensione da consumare nei videogiochi. Solo Equitalia e i suoi inderogabili pignoramenti porranno fine a quello strazio cosmico.
Nel terzo spettrale quadretto, quello incorniciato a misura sull’invasione degli stracomunitari, il lato migliore della rappresentazione, quello tragicomico, perde qualche punto in sfavore di un cervellotico ragionamento su più piani e anche le due pregevoli personificazioni, il vecchio disabile (Licia Lanera) e la sua badante dell’est (Riccardo Spagnulo) finiscono per essere assorbiti dalla difficoltà di capire la doccia di insinuazioni.
Con l’epilogo, affidato alla intramontata lotta di classe, che si materializza nella vendetta di due emarginati vestiti con le tute di altrettanti operai della catena di montaggio contro lo snobismo di un vegano-padrone, entra finalmente in scena Mino Decataldo, fino a quel momento imbalsamato nella sua maschera di boia. Tolto il cappuccio dell’anonimato che regolava le sentenze di morte di piazza, si veste come un petroliere in vacanza, ma viene immediatamente rapito da due condomini, legato ed imbavagliato ad una sedia e dunque cosparso, con ridicola e commovente violenza, da carne, uova, sugo, maionese, alimenti che lui può permettersi il lusso di non consumare seguendo un’alternativa dieta dispendiosa e che i suoi due rapitori invece sognano puntualmente di venirne sopraffatti, senza potersi permettere di acquistarli, se non il giorno dell’esecuzione del loro odiato vicino di casa.