PISTOIA. Domani, martedì 27 ottobre alle 17, alla libreria Lo Spazio di via dell’Ospizio, in collaborazione con la Fvl, verrà presentato il libro di Fulvio Colucci, La zattera (Il Grillo editore, 2015, p. 120, euro 12).
Parteciperanno, Fulvio Colucci, autore e giornalista, Gessica Beneforti, Segretaria generale Cgil Pistoia, Andrea Lumino, Segretario Slc Cgil Taranto. Coordinerà Giacomo Rossano Romani, RsuCall & Call Pistoia.
Ci sono quelli così simili a Elide e Arturo, i coniugi Massolari descritti da Italo Calvino ne L’avventura di due sposi che non si vedono mai. Qui simbolo del lavoro in una città dove non puoi scegliere: o call center o acciaieria.
Lui in fabbrica, lei al telefono, a rincorrere l’odore l’uno dell’altra tra le lenzuola di un letto perennemente sfatto, perché lui rientra quando lei esce.
C’è l’albanese partita da Durazzo quando era bambina, nel 1991, scavalcando un muro altissimo prima di salire su un peschereccio, con la paura che i soldati sparassero da un momento all’altro. Che l’Italia non era «Lamerica» se ne accorse il giorno dopo l’arrivo a Brindisi. E se ancora non capisce perché «noi» italiani abbiamo dimenticato di essere stati emigranti, riconosce molto bene la guerra tra poveri sul posto di lavoro: «Un assalto all’arma bianca per l’ultimo contratto».
Sono sei storie, raccontate in prima persona da cinque donne e da un uomo, al centro del saggio di Fulvio Colucci La zattera, metafora che rimanda al ruolo svolto dallo stabilimento Teleperformance di Taranto, tremila dipendenti fra stabilizzati e precari, unica alternativa al destino operaio nell’Ilva.
«Per migliaia di giovani donne e ragazzi italiani il lavoro nei call center è stato ed è spesso l’unico itinerario possibile in direzione di una eguale dignità, che solo il lavoro può assicurare», scrive Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, nella prefazione al libro di Colucci, cronista della Gazzetta del Mezzogiorno.
«Una zattera su cui sono saliti a decine di migliaia, al Sud come al Nord, trovando spesso precarietà diffusa, se non sfruttamento al limite della legalità».
Perché allora le persone continuano a salirci? E a restarci? Racconta una donna: «Ricordo ancora lo sguardo di disprezzo del supervisore quando ci ha apostrofato come “down”. La parola è caduta in un silenzio grande quanto un lago, una pietra scagliata con violenza e la nostra rabbia sempre più larga e muta come i cerchi concentrici nell?acqua offesa dal sasso».
Si resta sulla zattera per salvarsi nel mare in tempesta della crisi; per non rinunciare alla propria dignità di esseri umani; per coltivare, comunque, i sogni.
Come fa quel giovane che vorrebbe diventare cantante, e per adesso studia al Conservatorio grazie ai soldi che guadagna in cuffia. Pare di sentirlo, mentre va al lavoro come Figaro, «Presto a bottega che l’alba è già».
Il call center, la cuffia, le telefonate, le giornate infinite, sono una necessità imprescindibile. Ecco perché la zattera resiste, con i suoi ricatti. Per concedere un’illusoria idea di libertà.
Elvira Serra
[libreria lo spazio]