SERRAVALLE. Nell’ultima seduta del Consiglio Comunale è stata discussa e respinta la mozione avente come oggetto “Educazione sessuale e contrasto alla diffusione della teoria Gender nelle scuole di Serravalle Pistoiese”, presentata dalla sottoscritta e dal Consigliere Roberto Bardelli (Forza Italia).
Il testo impegnava il Sindaco e la Giunta a informare la cittadinanza, attraverso i canali istituzionali dell’Ente, sugli effetti negativi della teoria Gender nella formazione di bambini e ragazzi e a intervenire nelle scuole di Serravalle Pistoiese perché tale ideologia non sia introdotta, perché si rispetti il ruolo predominante dei genitori nell’educazione all’affettività dei figli, in ottemperanza al diritto internazionale e alla Costituzione italiana, e perché le famiglie siano effettivamente coinvolte nelle strategie e nei programmi educativi delle scuole.
Respingo nella maniera più ferma le motivazioni avanzate dai Consiglieri per il voto contrario o per l’astensione, e cioè che il pensiero Gender sarebbe una invenzione, che il Comune non avrebbe nessuna competenza sugli istituti scolastici del territorio e che sarebbe sufficiente ai genitori per una eventuale protesta lo spazio loro concesso dalle scuole all’interno degli organi collegiali.
L’ideologia Gender, purtroppo esiste eccome: afferma che il sesso biologico non ha necessaria importanza nella costruzione dell’identità di una persona e che il dato naturale – essere maschi o femmine per nascita – è una convenzione sociale da eliminare per costruire una società senza differenze tra uomini e donne.
Al concetto di identità sessuale, fondata sulla realtà biologica e psicofisica che denota la diversità tra maschile e femminile, si sostituisce così quello di identità di genere, che diventa un dato mutevole in balia del desiderio e del sentimento personale.
È scientificamente provato che educare i più piccoli a questo tipo di pensiero è molto pericoloso, poiché significa creare una significativa instabilità psicologica attraverso il conflitto assurdo tra la sessualità corporea e quella psichica naturalmente conseguente.
La volontà di introduzione della teoria nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado è iniziata a livello nazionale con l’emanazione da parte dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) del documento “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sulla identità di genere (2013-2015)”, in seno alla quale si sono moltiplicate iniziative didattiche per le scuole materne come la diffusione delle favole gay, la realizzazione di spettacoli teatrali a tema omosessuale, le attività di travestimento in cui bambini e bambine si scambiamo l’abbigliamento.
Anche a livello regionale stiamo assistendo allo svolgimento di questa strategia: basti pensare all’approvazione lo scorso anno del progetto “Omofobia, Transfobia e Bullismo”, coordinato dalle lobbies Lgbt, a cui la Regione Toscana ha destinato la somma di 25.000 euro, oppure al trasferimento quest’anno della cifra stratosferica di 500.000 euro (divisi equamente tra le dieci province) per l’attivazione “di azioni di sensibilizzazione/formazione nelle scuole toscane per la lotta agli stereotipi di genere e alla equa distribuzione del lavoro di cura all’interno della famiglia, anche in prosecuzione con quelle finora realizzate”, attraverso le quali spesso viene subdolamente veicolata l’ideologia Gender.
All’insaputa dei contribuenti la Regione impiega vergognosamente risorse considerevoli, che altrimenti potrebbero essere utilizzate per ampliare i servizi ai cittadini, per operare una ri-educazione delle nuove generazioni, giustamente definita da qualcuno come una forma di “colonizzazione ideologica”.
Non è vero che i Comuni non possano far niente per impedire che tale pensiero raggiunga le scuole. Le iniziative finanziate dalla Regione infatti arrivano negli istituti scolastici mediante convenzioni o patti che vengono stipulati dalle amministrazioni provinciali con gli Enti comunali: basterebbe semplicemente non sottoscrivere tali accordi.
Invece mi risulta che il Comune di Serravalle, per esempio, sia uno degli enti firmatari del Patto Territoriale di Genere 2013-2015, che attua per la Provincia di Pistoia gli indirizzi regionali.
Non è vero neppure che i genitori abbiano la possibilità di essere informati dalla scuola e di manifestare il proprio dissenso nei Consigli di Classe e nel Consiglio d’Istituto. Infatti pur essendo rappresentati negli organi collegiali e pur esistendo nelle scuole strumenti che richiedono la loro partecipazione attiva, come il Pof e il Patto di corresponsabilità educativa, i vari progetti vengono attivati senza il consenso delle famiglie oppure queste vengono male informate o addirittura ingannate poiché le scuole omettono di illustrare i contenuti e le attività incluse nei percorsi proposti, i quali vengono genericamente presentati come strategie educative d’Istituto volte a contrastare il bullismo o la discriminazione o a favorire una corretta educazione sessuale e all’affettività.
L’amministrazione comunale è quindi responsabile della presenza di questo pericolo nelle scuole del territorio: non continui a nascondersi dietro a un dito!
Elena Bardelli
Consigliere Comunale Fdi-An