LECTURA DANTIS ALLO SCORNIO

Paolo e Francesca nel V canto dell'Inferno
Paolo e Francesca nel V canto dell’Inferno

PISTOIA. Suggestiva lettura, ieri sera, nella Villa di Scornio a Pistoia, dove Claudio Morganti ha celebrato quattro canti dell’Inferno dantesco dando vita a Lectura Dantis. Stavolta, finalmente, ad ascoltare il 57enne drammaturgo ligure, oltre agli inguaribili appassionati della rassegna Teatri di confine, anche i suoi più o meno attivi promotori, sicuramente attratti dal fascino del protagonista, ma anche da qualche senso di colpa, forse, per aver ingiustificatamente disertato le precedenti iniziative della coda stagionale dell’Atp.

Atmosfera intrisa di fascino, quella di ieri sera, che sarà replicata anche oggi, nella sala sottostante la Villa di Scornio, con il secondo spettacolo consecutivo di Claudio Morganti, affidato a Francesco Pennacchia e Gianluca Stetur, che animeranno La vita ha un dente d’oro.

Però, nonostante i quattro canti infernali, il III, il V, il XIII e il XXIII, rispettivamente ascritti e dedicati agli ignavi, ai lussuriosi, ai violenti (contro loro stessi) e agli ipocriti, fossero – e lo saranno per sempre – qualcosa di inimitabile e intramontabile, abbiamo avuto l’impressione che il regista, nonché onemanshow, coadiuvato da Rita Frongia nell’elaborazione dei materiali e da Roberto Passuti alle musiche, abbiano voluto aggiungere qualcosa, terribilmente di troppo, a ciò che è già, chimicamente, un apice, un tratto apicale, un’espressione di massima e incalcolabile potenza.

È un’opera nata rivoluzionaria, la Divina Commedia: non ha bisogno alcuno di ulteriori contestualizzazioni, né ambientazioni; ogni endecasillabo trasuda, per natura, di scienza, astrologia, fisica, morale, storia, cultura. Di scenografie, in parole povere, non se ne sente minimamente la necessità, né di sottofondi dub metropolitani: la Divina Commedia è un’eterna opera rock, affiancabile a qualsiasi dinamica. E’ sufficiente leggerla, meglio ancora rileggerla, casomai provando a recitarla, a mente: non occorrono location, colonne sonore, abiti da cerimonia e d’occasione.

La Divina Commedia è congenitamente uno spettacolo: costruircene uno sopra, oltre che essere rischioso, pare davvero superfluo. E presuntuoso.

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