PISTOIA. Secondo workshop dal tema “L’economia internazionale fra globalizzazione e nuove chiusure”, promosso dall’associazione E-Cultura (Editore di Linee Future) in collaborazione con Associazione E.S.T.-Venezia.
Ha svolto la relazione Enrico Marvasi (Luiss). Interventi: Riccardo Perugi (Unioncamere Toscana) e Marcello Gozzi (Confindustria Toscana Nord).
Daniele Pacini, Presidente di E-Cultura ha introdotto i lavori parlando di produttività ed esportazione, notando come il 90% dell’export sia fatto dal 20% delle grandi imprese. Peculiarità italiana è la presenza di molte nano imprese.
Problemi purtroppo noti, che affliggono l’imprenditoria in Italia – nota Pacini – sono il ritardo cronico della giustizia, la burocrazia, la mancanza di formazione e di ricerca ed anche infrastrutture insufficienti, aspetti che limitano o escludono anche le opportunità di investimenti da parte di imprese straniere. L’imprenditore e presidente dell’Associazione conclude chiedendo: come ci collochiamo in un mercato globale?
È seguito l’intervento di Enrico Marvasi, giovane economista di vasta formazione, attualmente docente alle Università Luiss e Tor Vergata di Roma che ha sostenuto alcune tesi originali a favore del mercato globale.
Globalizzazione è un termine cappello – dice l’economista – che racchiude grandi fenomeni, anche aspetti sociali e culturali. La globalizzazione non è solo legata alle imprese ma anche ai movimenti che le si contrappongono, e c’è da chiedersi perché sia in grado di suscitare sentimenti così forti.
La globalizzazione è dovuta alla riduzione dei costi di trasporto, apertura delle frontiere, incremento degli scambi culturali.
Il reddito reale pro capite ha un trend di crescita dal 1800 in poi, dovuto all’industrializzazione ma dagli anni 90 fino ad oggi non è cambiato più nulla, tranne che sono calate le nascite, non c’è stata nessuna influenza da parte della globalizzazione.
La domanda è se siamo davvero tanto globalizzati. No, non lo siamo come alcuni media vorrebbero farci credere, lo siamo in prospettiva storica ma ben lungi da una globalizzazione totale.
“In media due imprese situate sui due lati del confine commerciano il 66% meno di due imprese nello stesso paese, l’effetto confine è ancora più forte se ci sono dazi, monete diverse, lingue diverse, per esempio il commercio tra province canadesi è di oltre 10 volte il commercio tra le stesse e gli Usa”.
Il fatto è che si commercia di più per produrre la stessa unità di prodotto (in breve si fanno più scambi per produrre la stessa quantità di beni), perché è aumentato il commercio di beni intermedi: essere competitivi in un mondo globalizzato significa essere sempre più spesso in grado di partecipare alle catene globali del valore fornendo prodotti e servizi d’eccellenza, spesso personalizzati; flussi di beni, servizi, investimenti informazioni e know how che prima avvenivano all’interno dell’impresa ora avvengono spesso tra imprese o stabilimenti di una stessa impresa in paesi diversi.
La Cina ha saputo fare tutto ciò molto bene e si è inserita nella globalizzazione importando beni che poi ha lavorato e riesportato, questo non è solo un fenomeno commerciale ma è una strategia che ha consentito ai cinesi l’acquisto di competenze.
Di fatto la globalizzazione ha affrancato dalla povertà molti Paesi attraverso una massiccia frammentazione della produzione perché un bene viene assemblato con pezzi realizzati nei diversi Paesi del mondo. Così i Boeing ma anche la Nutella. Più è elevata l’importazione di beni intermedi maggiore è la partecipazione alla catena del valore.
Per quanto riguarda l’Italia la causa della nostra decrescita non è la globalizzazione ma la perdita di produttività; l’Italia è anche l’unico paese che ha ridotto l’investimento in educazione terziaria (ricerca universitaria).
Le operazioni che servono per avviare un’impresa collocano l’Italia al 46° posto, per la tutela dei contratti siamo al 147° posto a livello mondiale…
Ci salvano le imprese esportatrici.
Dalla globalizzazione si creano vincitori e vinti: i movimenti no global sottolineano l’aumento dei costi ma di questo dovrebbero risentirsi i produttori mentre le classi più disagiate traggono vantaggio perché possono acquistare beni a prezzi accessibili (i supermercati Walmart sono l’esempio).
Si può affermare che il problema della globalizzazione è la sua gestione, cercando di evitare che la politica opti per il protezionismo.
[Paola Fortunati]