storie pistoiesi. ARTURO BARGELLINI A CINQUE ANNI DALLA MORTE

Arturo Cappellini a cavallo
Arturo Cappellini a cavallo

PISTOIA. [a.b.] Oggi giovedì 16 giugno ricorre il quinto anniversario della morte di Arturo Bargellini, reduce della campagna di Russia poi deportato per ventisei mesi in un campo di concentramento in Germania, scomparso a 103 anni.

Quella di Arturo è una vicenda come quella di altri italiani, ma che val la pena di essere conosciuta e raccontata. «È la lunga storia di un pistoiese – spiega la figlia Paola – che combatté con coraggio e lealtà la II guerra mondiale, ne uscì con onore e, in seguito, tornato a Pistoia, si costruì una famiglia e visse molto a lungo e in serenità nella sua città».

Arturo Bargellini era nato il 30 luglio del 1908 a Groppoli, tra Spazzavento e Serravalle. Quarto di 8 figli di una famiglia modesta, sin da piccolo dovette darsi da fare e affrontare tante difficoltà: solo per andare a scuola, insieme alla sorella percorreva km a piedi, anche sotto le intemperie, portando sulle spalle una cartella rilegata col fil di ferro e ai piedi zoccoli di legno.

Appena un po’ più grande suo padre fu chiamato a combattere la prima guerra mondiale e Arturo restò solo con la madre ad accudire i fratelli più piccoli e a fare i lavori dei campi, tanto che i compiti di scuola li svolgeva alla sera tardi alla luce di un lumino ad olio posto su una pentola rovesciata per fare luce.

Nel 1929 fece il servizio militare a Bologna, nel Reggimento Lancieri, e quando nel ’40 l’Italia entrò nella II guerra mondiale fu richiamato alle armi. Stanziato a Bologna col 3° squadrone Cavalleria Savoia, partì per la Campagna di Russia, viaggiando per 21 giorni su un treno merci. Fu durissima, per lui e per tutti gli altri soldati che la vissero: ben due inverni, quelli del ’41 e del ’42, nelle valli di Kiev, con abbigliamento e scarpe che non potevano riparare da quel freddo terribile, patito durante lunghi giorni in trincea, spesso coperti con la neve per evitare di essere colpiti dai Russi. Gambe e piedi congelavano e tanti morirono, anche per le temperature proibitive e la fame, come Arturo ha raccontato.

Una delle lettere di Arturo
Una delle lettere di Arturo

La ritirata della campagna di Russia fu davvero tragica. Il clima era freddo, il ghiaccio per terra non permetteva di far camminare i cavalli che perciò avevano bisogno di ferri speciali.

Spesso i militari che purtroppo non indossavano scarpe e vestiti adatti a quel clima, avevano gambe e piedi congelati. Ogni giorno ne morivano tanti e venivano seppelliti in lunghissime fosse. Arturo diceva di essere stato fortunato, perché lui aveva visto morire tanti uomini, ma si era salvato.

Tornato in Italia, venne dislocato prima a Parma e poi a Mantova e fu qui che lo sorprese l’armistizio, l’8 settembre del ’43: è forse di quel giorno una delle tante cartoline e lettere cariche d’emozione tramite le quali si teneva in contatto con i familiari.

Dopo l’armistizio e il disarmo Arturo dovette quindi scegliere se continuare a combattere nelle file dell’esercito fascista oppure essere mandato in un campo di detenzione in Germania. Arturo rifiutò l’arruolamento, venne considerati “prigioniero di guerra” e avviato al lavoro coatto.

Venne deportato in un campo di concentramento, uno dei cosidetti Stammlager, i campi per prigionieri di guerra. Arturo era in quello denominato con la sigla XIII C. La vita nel campo era dura. Arturo lavorava 12 ore al giorno (doveva fabbricare cuscinetti a sfera per le armi); l’alimentazione era scarsissima e per sfamarsi era costretti a rovistare nei bidoni della spazzatura per raccogliere bucce di patate o qualche altra cosa.

Dalla prigionia scrisse alcune lettere ai familiari in cui, in un buon italiano (nonostante avesse solo la III elementare) chiedeva notizie sulla loro salute e li rassicurava; non poteva dire di trovarsi male o lamentarsi per qualche cosa, perché tutta la posta era strettamente controllata. La lettera era costituita da un unico foglio piegato e richiuso: sulla facciata interna c’era il testo della lettera. Sul retri, corrispondente alla busta, in alto la dicitura Griegsgefangenenpost, con traduzione in francese (corrispondenza dei prigionieri di guerra) e ovviamente c’erano anche il nome del mittente e quello del destinatario.

Arturo nel 102° compleanno
Arturo al 102° compleanno

Finalmente nell’aprile del 1945 fu liberato dagli angloamericani e, viaggiando con mezzi di fortuna, più che altro su un carro bestiame, 2 mesi dopo riuscì a tornare a Pistoia.

Al suo ritorno a casa, comincia la seconda parte della vita di Arturo: aveva 37 anni e i suoi fratelli si erano già sposati, ma non si risparmiava mai. Accudiva l’anziana madre da solo.

Arturo viveva a Groppoli e in quella piccola borgata lavorava dall’alba al tramonto, prima in proprio e poi come salariato: arava, raccoglieva le olive e le portava al frantoio, vendemmiava il suo podere e quelli dei vicini, che spesso aiutava, e nel tempo libero frequentava le serali, dove prese il diploma elementare. Poi si sposò ed ebbe una figlia. Lui, che si era dato tanto da fare, dovette anche lavorare più a lungo del previsto per godere della pensione, perché durante gli anni del militare non gli erano stati versati i contributi.

Negli anni ’80 lasciò Groppoli e rimasto vedovo si trasferì a Pontelungo con la figlia e qui trascorse la vecchiaia, facendo lunghe camminate e discutendo con gli amici degli argomenti più vari. A chi gli chiedeva il segreto della sua longevità diceva: “Cibo moderato, vino poco o nulla e tanto movimento”. Fu festeggiato a dovere per i suoi 100, 101 e 102 anni, dal sindaco di Pistoia, dalla Cgil, da vari presidenti di circoscrizione e soprattutto da tutto il paese e da quanti lo conoscevano e lo stimavano.

Nel 2010 il nipote Otello Bargellini prese contatto con il 3° Reggimento Cavalleria Savoia di Grosseto dove Arturo aveva militato. Così vennero inviati due comandanti alla festa del suo 102° compleanno, omaggiandolo anche con una Croce di guerra al merito. Morì il 16 giugno del 2011 e avrebbe compiuto 103 anno il mese successivo.

Il racconto della vita di un uomo come Arturo Bargellini che si è trovato a vivere in un periodo ben più difficile di quello attuale e che non si è mai arreso davanti alle difficoltà può servire da incoraggiamento per tutti noi… perché dopo il buio viene sempre la luce. Basta vederla!

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