PISTOIA. In questi giorni in cui siamo tutti rattristati per la scomparsa di Dario Fo, un grande artista, oltre che vivacissimo intellettuale, che ha saputo con la sua inimitabile capacità creativa, dare vita a una cultura, sempre impegnata e al servizio di chi ne veniva deprivato dal potere.
Lui stesso dovette subire un vergognoso allontanamento – durato molti anni – dalla Rai, proprio per la sua satira politica in difesa dei lavoratori edili esposti ai rischi del loro lavoro.
Ma, come spesso succede, la voce che si vuole soffocare, rimbomba ancora più forte. Così nel 1969 Dario Fo dette vita a quel vero e proprio miracolo teatrale, che è Mistero buffo, attraverso la reinvenzione del grammelot, una straordinaria mescolanza di fonemi, toni, dialetti settentrionali, con cui, ispirandosi anche ai giullari medievali, sapeva dare un’espressività travolgente.
Inoltre la composizione, attaccando ogni forma di potere, aveva contenuti politici e religiosi, ma visti sempre dalla parte degli oppressi, di coloro che erano stati considerati senza cultura e senza voce.
Mi ha sempre impressionato in lui laico, l’attenzione rispettosa ai temi e alle figure religiose, di cui sapeva illuminare con la sua arte e la sua gestualità inimitabile l’aspetto umano.
Escluso con l’inseparabile compagna Franca Rame, dai luoghi ufficiali dello spettacolo, con un’intuizione grandiosa individuò, per la rappresentazione, luoghi alternativi – considerati di serie B dalla cultura del potere – le Case del Popolo.
Fu proprio in queste, a Montale e a Quarrata, che nel 1970, giovanissimi, io e Gabriella (la mia compagna), insieme ad alcuni amici, lo conoscemmo.
Devo dire che rimanemmo colpiti dalla sua vitalità incontenibile – che ha conservato inalterata fino alla morte – e dalla carica umana che sapeva trasmettere non solo ai testi rappresentati, ma al pubblico, che seguiva affascinato e contagiato dall’atmosfera gioiosa che sapeva creare.
L’ho incontrato di nuovo molti anni dopo nel suo appartamento-laboratorio a Milano, dove mi recai con un gruppo di amici e con Yolande Mukagasana.
L’occasione fu proprio la richiesta a lui – insignito Premio Nobel per la letteratura – di appoggiare la candidatura al Nobel per la Pace, di questa donna africana, sopravvissuta dopo aver perso l’intera famiglia nello spaventoso genocidio ruandese del 1994, della cui memoria era diventata infaticabile testimone.
Non solo accettò la nostra richiesta, ma fu gentilissimo e molto attento al racconto e alla persona di Yolande: come sempre, l’umanità sofferente era al centro del suo interesse più profondo. Quando gli ricordai di avere assistito alle rappresentazioni nelle Case del Popolo, si commosse, andò in un’altra stanza, tornando con il libro – che ho in mano nella foto – sulla vita sua e di Franca Una vita all’improvvisa (uscito da pochi giorni), di cui mi fece dono con la dedica.
Grazie, Dario e Franca, per la vostra vita generosa, che ha reso più libero e degno il vivere in questo Paese.
[mauro matteucci]
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