LA BELLALETTERA 14, LE RIVISTE E LA STORIA

Gian Piero Ballotti
Gian Piero Ballotti

PISTOIA. Le riviste hanno sempre accompagnato il mio lavoro di prima: il Foro italiano; la Rivista italiana di diritto e procedura penale; Giustizia civile; la Giurisprudenza di merito; Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale. Ma anche negli anni del mio dopo, in quello che definirei “il lavoro di Groppoli”, le riviste hanno occupato un posto di rilievo: Il Ponte di Piero Calamandrei; Belfagor di Luigi Russo; Alfabeta di Umberto Eco; il Mulino; Cultura; Erbadarno; l’ Indice dei libri del mese; il Giornale dell’ Arte; la Civiltà Cattolica, quest’ ultima “impostami” da padre Paolo Bizzeti – invitato a Groppoli per accompagnare la proiezione di “Mission” – con queste parole: “soltanto i gesuiti e i comunisti coltivano e pretendono la “vocazione”: si abboni”.

E io mi abbonai. Subito. Perché avevo, ed ho ancora oggi, una grande ammirazione per i gesuiti ed ancora molto rispetto per il P.C.I. Per due ragioni: una sentimentale, che dipende dalla lunga militanza; l’ altra ideale e politica come la persuasione che, nonostante tutto, quel partito rappresenti ancora la parte più rispettabile della politica militante del nostro paese.

Ora i problemi che le Riviste pongono sono – per così dire – impellenti, mentre quelli che si incontrano nella lettura di un libro lo sono, ma molto meno. I primi sono attuali, si direbbe “moderni”, al punto che non ti è lecito trascurarli se vuoi (come vuoi) vivere la tua vita qui e ora.

Ma posso dire che (anche) grazie alle Riviste è stato facile mandare avanti il lavoro alla Villa.

Facile e piacevole, al punto che l’ opera prosegue ancora oggi con un poco più di fatica ma con identico piacere.

E come i libri vanno riletti, così anche le Riviste. Che però invecchiano prima, tantochè ti sembra di rileggere memorie di vecchi amici; segnali importanti della tua lunga vita, ma di alcuni dei quali avevi persino perduto il ricordo. Succede.

Ed eccoci al punto. Durante il Natale ho riletto alcune annate di “Belfagor”: anno XLIII n. 1 – 31 gennaio 1988; a pag. 76 un articolo dello storico Marco Palla dal titolo: “Lo sconosciuto 21 aprile 1946 fra Macmillan e De Gasperi”. Emozione.

Nella primavera del 1946 Harold Macmillan torna nella capitale italiana come privato turista e chiede udienza a quattro italiani “eccellenti”: il presidente del consiglio Alcide De Gasperi; il luogotenente del regno Umberto di Savoia; l’ ex presidente del consiglio Ivanoe Bonomi; il pontefice Pio Xii.

Al termine degli incontri Macmillan spedisce al Foreign Office un resoconto dei colloqui che viene archiviato senza commenti di rilievo: “de minimis non curat praetor”.

Noi, a differenza del pretore, riportiamo qui di seguito il passo relativo alle dichiarazioni del presidente del consiglio dell’ epoca, ritenendole molto importanti per apprezzare il sapore della politica italiana di quegli anni difficili quanto fondamentali, per il suo proseguimento nel presente.

Riferisce Macmillan

“I comunisti stavano seguendo un piano molto astuto. Togliatti, che era lui stesso lo strumento di Grieco, ostentava grande moderazione. Le elezioni municipali avevano rivelato un pericoloso grado di consensi comunisti nelle aree rurali.

E questo perché stavano promettendo la terra ai contadini o, in alternativa, una modifica del sistema mezzadrile nel senso di una percentuale maggiore da riservare ai contadini. (I comunisti) stavano inoltre professando un rispetto per la chiesa che arrivava a livelli perfino comici. I comizi sarebbero stati sospesi quando le campane delle chiese si fossero messe a suonare.

Le città che erano state fasciste stavano diventando comuniste”. I socialisti “subivano molto l’ influenza comunista” e “la sola ambizione di Nenni era di fare il Ministro degli Esteri”, “e per questo egli avrebbe sacrificato quasi tutto”. I liberali avevano seguito “una politica così sciocca” e c’era da lamentare l’ improbabilità che emergesse “un forte partito della destra”.

“La situazione, perciò, faceva sì che il suo stesso partito, invece di essere un partito di centro, era destinato a diventare un partito del centro destra. Nondimeno egli sperava che quando l’Assemblea si fosse riunita sarebbe stato possibile, con l’ aiuto della destra, dei socialisti e di ogni liberale che fosse stato eletto, formare un blocco sufficientemente forte da impedire che potessero diventare reali le politiche del pericolo e della rivoluzione”.

De Gasperi se la prende anche con gli Alleati che “hanno frainteso la situazione”, mentre “un gran numero di comunisti”, forse 300 mila, “erano armati” e “c’ era un flusso continuo di armi dalla costa dalmata”. De Gasperi non nascondeva al suo interlocutore propositi apertamente deterministici. “La scelta di tempo per le elezioni si era dimostrata infelice, dato che sembrava probabile coincidesse con una situazione alimentare critica e con riserve di grano molto eesigue.

Se egli poteva ottenere 60 mila tonnellate, avrebbe mantenuto la razione di 200 grammi fino alla disponibilità del nuovo raccolto”, e “se anche avesse avuto la promessa di trenta o quarantamila tonnellate dall’ Inghilterra, avrebbe seguito questa direttiva: avrebbe diminuito la razione di pane a 150 (grammi) e poi, se le 30 mila tonnellate fossero state spedite qui nelle prossime settimane l’ avrebbe di nuovo aumentata fino a 200 prima delle elezioni.

Ciò avrebbe dato credito alla sua stessa posizione e in particolare all’Inghilterra e ai sentimenti antisovietici. Gli ho chiesto quali misure avesse preso per avere assistenza dall’ Inghilterra e mi ha informato che il conte Carandini ha avuto istruzioni di chiedere aiuto ma senza ancora ricevere nessuna risposta precisa”. Sulla questione istituzionale, De Gasperi afferma che il principe Umberto “era mal consigliato” e non aveva elaborato nessuna “reale ed efficace propaganda per la sua causa”: vi erano dunque “poche possibilità di un plebiscito favorevole alla monarchia.

Nell’ Italia centrale e meridionale i voti potevano dividersi piùo meno equamente ma al nord il sentimento repubblicano era di gran lunga più forte. Il meglio che si potesse fare era sperare che un’ influenza moderata nell’Assemblea fosse sufficientemente forte da impedire un’ azione violenta”. In conclusione, Macmillan trova “un De Gasperi scoraggiato. Secondo i miei ricordi egli non è mai stato un tipo d’ uomo molto ottimista, ma pensavo fosse più vigoroso del solito nell’ affrontare il futuro”.

Fin qui la relazione di Macmillan al Foreign Office.

Mi auguro ne nasca la volontà, il desiderio, la necessità di approfondire, discutere, incontrarsi.

Per rileggere insieme un periodo non banale della nostra storia che ci aiuti a capire meglio questo presente insensato.

[gianpiero ballotti]

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