san[t]ità. L’INELUTTABILE SACRALITÀ DEL MEDICO DI FAMIGLIA. 2

Medico di famiglia
Medico di famiglia

MONTAGNA. Vorrei dire due parole in riferimento all’articolo a firma di Alessandra Tuci del 4 gennaio.

Non posso né voglio confutare ciò che dice in quanto riferirà di una realtà che le appartiene e che vive. Vorrei solo descrivere un’altra realtà.

Sono un Medico di Famiglia che lavora nel Comune di Piteglio (da pochi giorni diventato S. Marcello Piteglio), ho sempre vissuto qui e vi lavoro dal luglio 1987.

Leggere ciò che la giornalista scrive fa male, a me come ai miei colleghi della montagna che lavorano come me e quindi parlo anche a loro nome.

Noi operiamo in un territorio con una densità abitativa molto bassa ma con una superficie geografica che è oltre la metà dell’intera provincia, il 23% della popolazione da noi assistita ha superato i 90 anni di età.

Svolgo la mia opera in nove ambulatori diversi (ovvero in tutte le frazioni del mio comune), non ho infermiera, non ho segretaria, ci sono io, ci siamo noi e basta, non faccio e nessuno di noi fa altri lavori se non quello di medici di famiglia, dalla mattina alla sera.

I nostri ambulatori hanno un orario di inizio (siamo anche puntuali) non di fine in quanto quest’ultima è determinata dall’ultimo paziente presente in ambulatorio ovvero sono ad accesso libero (un male? Un bene? Mah non so… è possibile che la quantità vada a scapito della qualità… 70-80 accessi giornalieri di media nei nostri ambulatori, tutte cifre documentabili le assicuro).

Le visite domiciliari vengono effettuate tutte, tutte quelle richieste e talvolta le assicuro che è un tantino umiliante andare a vedere persone con un banale raffreddore e 37 di febbre ma tant’è.

I nostri cellulari sono sempre accesi salvo, ed io sono il primo a spengerlo, quando le telefonate divengono incontrollabili e non permettono neppure di fare una visita, talvolta accade che per ascoltare un torace sia interrotto più e più volte con molto disappunto della persona che in quel momento deve essere visitata.

medico-paziente
Medico e paziente

In alcuni giorni ho contato, a sera, oltre 50 chiamate e tutte, tutte gestite dal sottoscritto visto che come dicevo sopra noi siamo soli, senza “filtri”.

Voglio, a questo punto, signorina Tuci, darle alcuni spunti di riflessione. Pochi sanno, perché non se ne parla, quanto è aumentato il carico burocratico nei nostri studi, la ricetta elettronica le fasce di reddito dei cittadini tutte cose che portano via tempo al nostro lavoro, a fare diagnosi, prognosi e terapia, pensi in quanti settori della quotidianità è indispensabile un certificato del proprio medico.

In montagna lavoriamo (poiché il collegamento in rete è indispensabile per le cose di cui sopra) con una chiavetta per collegarsi e la rete è presente “a macchia di leopardo”, pensi che in 4 dei miei 9 ambulatori non ho il collegamento (per l’assenza della copertura di qualsivoglia operatore telefonico) quindi devo arrangiarmi per prendere le fasce di reddito dei cittadini, ovvero per far valere un loro diritto ed a tutti gli altri miei colleghi non va certamente meglio.

Vede, signorina Tuci, non le voglio descrivere un eden tantomeno suscitare compassione (quei disgraziati dei montanini… espressione assai ricorrente ahimè) voglio solo descriverle una realtà, realtà che lei potrà toccare con mano qualora avesse il tempo e la voglia di trascorrere una giornata insieme, dalla mattina alla sera, a sua scelta e senza alcun preavviso, può scegliere me, i colleghi di Abetone Cutigliano, San Marcello, Sambuca o Marliana, ha ampia scelta poiché cambierebbe il suonatore ma non la musica.

Io, noi ci sentiamo orgogliosi del lavoro che facciamo, sulle nostre capacità cliniche non spetta a noi il giudizio ma vagabondi proprio non lo siamo e questo lo possiamo affermare a testa alta di fronte a chicchessia senza tema di smentita alcuna.

Un’ultima cosa, qui la gente dice ancora “il mio medico”, noi siamo ancora per la persone il loro medico per antonomasia e questo ripaga di tutte la fatiche quotidiane.

Dr Sandro Andreotti

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