caso cucchi. È GARANTISTA UNA GIUSTIZIA CHE CONCEDE UN’INCHIESTA-BIS?

Stefano Cucchi.
Stefano Cucchi

PISTOIA. Aprire una nuova indagine sui medesimi fatti, già certificati da una sentenza passata in giudicato, volendo certificare la colpevolezza di soggetti che da quest’ultima vennero dichiarati innocenti, è un’iniziativa assai poco apprezzabile e che cozza con lo Stato di diritto che, con i suoi tribunali, deve garantire una giustizia giusta.

E la giustizia giusta si ha quando viene garantito un trattamento equo, dunque secondo equità, ai soggetti coinvolti nel processo.

La vicenda di Stefano Cucchi, e del processo tenutosi per la sua morte, calza a pennello, soprattutto dopo l’inchiesta-bis che ha visto il 17 gennaio 2017 chiedere il rinvio a giudizio per tre carabinieri, i quali, al termine del primo processo, conclusosi nel luglio 2016, erano stati assolti.

Nel giugno 2013 la Corte d’Assise di Roma condannò in primo grado sei medici, assolvendo infermieri e guardie penitenziarie.

In Appello vennero addirittura assolti tutti gli imputati, medici compresi, e contemporaneamente il sindacato di Polizia querelò la sorella del defunto Cucchi per istigazione all’odio nei confronti delle forze dell’ordine.

Ovviamente venne proposto ricorso in Cassazione, la quale cassò parzialmente la precedente sentenza e dispose un nuovo giudizio per cinque dei sei medici. Ma la sentenza di Appello-bis, udite udite, assolse i cinque medici “perché il fatto non sussiste”. Oltretutto, nel 2009, un’inchiesta parlamentare decretò che Stefano era morto per abbandono terapeutico, scagionando anche in questo caso i carabinieri e le guardie penitenziarie.

La legge è uguale per tutti, come leggiamo in tutte le aule dei tribunali.
Nel nostro Paese la legge è davvero “uguale per tutti”?

Siamo qui per esprimere un parere che risulterà, ai più, freddo e insensibile: amen.

Non siamo parenti stretti del defunto e tantomeno siamo coinvolti quanto loro. Ma una piccola riflessione sull’opportunità di proseguire la battaglia imbastendo un altro processo, riprocessando coloro che vennero assolti, chiunque di noi se la può concedere.

Il meanstream, la corrente di pensiero maggioritaria, anche in questo caso suggerisce una valutazione approssimativa e basata su sentimenti incontrollati e, talvolta, fasulli.

Dovremmo invece attenerci ai fatti, prendendo atto dell’esito del primo processo e del fatto che la tanto sbandierata campagna di sensibilizzazione operata da Ilaria Cucchi ha avuto talvolta risvolti grotteschi.

Dall’esposizione continua della gigantografia del viso violaceo del fratello ormai morto, facendo intendere che quel colore derivasse dal pestaggio subito dai carabinieri (14mila lastre hanno decretato che si tratta di macchie ipostatiche dovute alla condizione post mortem); fino alla pubblicazione sulla sua pagina Facebook di una foto di uno dei carabinieri in tenuta da mare, con muscoli ben in vista, condannandolo al pubblico ludibrio, con giovani e vecchi annoiati che si scatenarono nel dileggio delle forze dell’ordine.

La giustizia in questo caso ha fatto il suo corso, e i tribunali e le piazze non sono luoghi dove poter portare avanti campagne d’odio personalissime che lo Stato, tramite i suoi magistrati, ha già bocciato.

Altrimenti dovremmo credere che esista una congiura da parte di mezza Italia nei confronti della famiglia Cucchi. Ma così cadremmo nel complottismo più ridicolo: e sarebbe tutt’altra faccenda.

[Lorenzo Zuppini]

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Intervento di libera critica e commento ex art. 21 della Costituzione.

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