fuocoammare. STRAPPALACRIME POLITICALLY CORRECT?

Un gommone carico di clandestini

PISTOIA. Ci sono vari modi per conoscere e comprendere il fenomeno migratorio che stiamo subendo. I quotidiani ci danno il loro (solitamente sinistro) punto di vista, i singoli giornalisti espongono le loro idee, i comici fanno comizi e la Rai, col suo servizio pubblico, ci propina Fuocoammare.

E tutto ciò accade di venerdì sera, quando i più solitamente festeggiano l’arrivo del fine settimana: molti, ma non tutti. Noi, con uno spiccato senso di autolesionismo, abbiamo scelto di chiedere rifugio dalla pioggia al divano. D’altronde, insegna la presidenta Boldrini, esistono anche i profughi climatici.

Fuocoammare viene presentato come documentario, ma, a nostro parere, così non è. È un film drammatico senza trama, con pochi dialoghi e tutti in dialetto, quindi provvisti di sottotitoli che distolgono l’attenzione dalla scena madre. Non essendoci una trama, non seguendo alcun filo logico, è sostanzialmente impossibile esprimere un giudizio.

Quello che si può fare, però, è commentare il senso delle immagini che il regista ha deciso di presentarci.

È noto che voglia dare un quadro strappalacrime sul tema dell’immigrazione clandestina, mostrandola addirittura con gli occhi di un dodicenne di Lampedusa che viene proposto, come uno sfollato di molti decenni fa, che sa parlare solo il suo diletto, che pare viva nella preistoria potendo giocare solo con una fionda (per di più che si è costruito da solo) e che emette orrendi suoni con la bocca mentre mangia gli spaghetti.

È evidente che quel popolo non si possa ridurre a questo, e molto probabilmente avrebbe qualcosa da dire sul viavai di clandestini che, inutile negarlo, ammazza l’economia del posto basata sul turismo. Lampedusa è un luogo meraviglioso. Adesso lo è assai di meno: non ci sono più occhi che possano ribadirlo.

Le scene degli africani moribondi che scendono dalle barche sono oggettivamente strazianti, eppure è riduttivo fermarsi qui. Notiamo che, in una di esse, molti clandestini sbarcati pregano Allah inginocchiati, mentre altri, poco dopo, ringraziano Dio per averli salvati.

Se l’intento era quello di inneggiare al multiculturalismo, tentativo fallito. È di pochi giorni fa la testimonianza di un clandestino cristiano sbarcato in Italia che raccontava come si fosse salvato per poco: gli altri suoi compagni cristiani erano stati picchiati e poi lanciati in mare da un gruppo di islamici presenti sulla stessa barca.

Il bambino protagonista, Samuele Pucillo

Le cifre presentate nel documentario, che vengono pagate dai clandestini per farsi trasportare, sono perlopiù inesatte.

Il Giornale ha fatto un’inchiesta a tal proposito telefonando ad uno degli scafisti che, dal nord Africa, organizza le traversate.

Egli stesso dichiara al telefono che la cifra da pagare va dai 2500 ai 3000 euro, a fronte dei 1500 o 1000 presentati nel documentario.

Tali spese, che sono ingenti per persone che si presentano come i poveri del pianeta, fanno sorgere la domanda, già posta dai pochissimi giornalisti non schierati, su come mai costoro scelgano tale modalità di viaggio anziché prendere un aereo spendendo assai di meno e con la sicurezza di arrivare in Europa.

È presto detto: presentarsi come clandestini è, ad oggi, l’unico modo per garantirsi l’accoglienza e il mantenimento. Chissà, forse dietro questo fiume di denaro c’è lo zampino delle potenze arabe che, è risaputo, hanno foraggiato lo Stato Islamico.

Nessun accenno ai grossi problemi derivanti dalla presenza di anonimi clandestini in Italia, tantomeno sugli enormi profitti che onlus varie traggono dall’andare a salvarli. Perché è un po’ di tempo che non solo la marina italiana si occupa delle operazioni di salvataggio, e la torta è grande e di fette ce ne sono per tutti.

Mentre il tribunale di Milano ci impone di non usare il termine “clandestino”, e la tv di Stato sponsorizza la sua stessa fine, noi venerdì prossimo ci dedicheremo senza ombra di dubbio al solito etilismo.

Ne trarremo senz’altro più piacere.

[Lorenzo Zuppini]

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