SAN MARCELLO-PITEGLIO. La storia di Lisa e Linda Pagliai, due giovani allevatrici e casare, meriterebbe una più dettagliata attenzione dell’Onaf, la prestigiosa Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio che ha sede a Grinzane Cavour (Cuneo) e che promuove, con l’analisi sensoriale, la cultura e la tutela delle tipicità dei territori.
L’azienda agricola Uffiziatura domina la val di Lima e si trova nei pressi delle torri di Popiglio, su un terrazzo naturale che guarda gli antichi borghi della Verdiana, sulla sponda opposta della Lima, e il colle dove un tempo sorgeva il castelluccio di Lancisa,al centro di indagini archeologiche dall’epoca di Domenico Cini, uno degli esponenti della famiglia che fece grande l’Appennino Pistoiese (la cartiera de La Lima ma non solo).
Titolare dell’azienda al momento è Franco, ma le figlie hanno le idee chiare: «Eravamo predestinate – spiega con disinvoltura e naturalezza Lisa, classe 1994 –, nonni e bisnonni sono stati pastori allo stato puro. Per gioco ho sempre aiutato mamma e babbo, ma a sedici anni è arrivata la vocazione fulminante e tutti i giorni li ho passati tra mungiture in stalla e attività collegate. SCerto, si dura fatica: sette giorni su sette, mattina e sera, verso le 8 e le 19, ci vuole all’incirca un’ora se sono con babbo».
Linda, classe 1991, ha finito l’istituto alberghiero a Massa, convive con il ragazzo a Rivoreta (dove si trova uno degli itinerari dell’Ecomuseo della Montagna Pistoiese) e lavora nel caseificio e in azienda per così dire part time, perché in estate ha anche altre attività: «Ci sentiamo fortunate perché è la vita che ci piace» e mostra orgogliosamente la foto dei nonni pastori Domenico e Maria.
Nella filiera dell’azienda è fondamentale anche il ruolo di Fabrizia Maccioni, mamma di Lisa e Linda e a sua volta discendente di pastori, che ricorda, ripensando alle transumanze nella piana dei nonni: «Ora gli scarti della tosatura vanno bruciati; li dobbiamo portare all’inceneritore di Pisa.
«Una volta le pecore venivano portate nella Lima perché attraversassero da sponda a sponda il torrente per tre volte, in corrispondenza di un bozzo. Così venivano lavate e, dopo la festa della tosatura, un momento di forte condivisione, si portava tutto alla filanda di Giannini a Casotti, che ritirava la materia da lavorare e trasformare in indumenti».
Del resto quella dei Pagliai è la messa in atto della circular economy o economia circolare, fuori dalla retorica dei tavoli istituzionali: l’Uffiziatura ospita quasi duecento pecore di razza massese, quelle tutelate da Slow Food, una mucca pezzata rossa di nome Camilla e decine di capre alimentate prevalentemente dall’erba dei prati stabili, materia che l’uomo non usa.
Un modello sostanzialmente opposto a quello dominante della zootecnia industriale, basato sui lager animali che stanno tutta la vita in capannoni e su ettari e ettari di suolo agricolo usati per la produzione di mangimi in monocoltura.
Un sistema in cui l’uomo entra in competizione con gli animali per il cibo e impoverisce il suolo riempiendolo di pesticidi e diserbanti, il cui multiresiduo puntualmente viene rilevato nelle acque esaminate dagli enti di controllo (vedere l’annuale rapporto di Legambiente “Pesticidi nel piatto”).
«Appena si può le mandiamo fuori – racconta Franco – e le teniamo al pascolo finché non ghiaccia; diamo loro anche un po’ di mangime, fatto con i nostri cereali, per mandarli in mungitura e foraggio per sette mesi». La qualità del formaggio deriva dall’alimentazione animale, dalla varietà delle erbe e dal rapporto tra erbe e mangimi: lo insegna in particolare anche Roberto Rubino con le classi di qualità del modello latte nobile.
Vengono fatti i vaccini due volte l’anno e per i tre giorni successivi il latte va buttato: per il resto le attività sono autocertificate biologiche, senza certificazione registrata, ma basta prenotare un giro nelle stalle e nei poderi, che si estendono in tutti e quattro gli ex comuni montani, per verificare il grado di benessere animale e la sostenibilità intrinseca dell’azienda.
A primavera viene sparso il letame accumulato nei mesi invernali; non mancano tuttavia i problemi: «Da un lato – prosegue Franco – la questione del macello: a Cutigliano c’era, ora dobbiamo andare fino a Gaggio Montano o in lucchesia: qui potrebbe servire anche ad altri e con un po’ di sinergia tutti ne guadagnerebbero.
Se i ristoratori si prendessero la briga di rifornirsi dagli allevatori locali risparmierebbero, evitando di far venire gli agnelli da fuori; quelli nostri vanno lontano e vengono pagati poco».
Basterebbe insomma un cambio di mentalità per superare uno di quei t tanti atavici handicap – su tutti lo smantellamento del pronto soccorso dell’ospedale Lorenzo Pacini – che sicuramente ha contribuito all’abbandono della nostra montagna.
Un altro problema è però la presenza del lupo, che all’Abetone ha sbranato addirittura dei cani: il duro lavoro dei pastori, che tutela la biodiversità e offre servizi eco sistemici, rischierà seriamente di essere compromesso, con chiusura di aziende, qualora non vengano presi provvedimenti da parte delle autorità.
Prodotto principale dell’azienda dei Pagliai è il pecorino al latte crudo stagionato, ma c’è pure il primo sale, lo stagionato di mucca e vari caprini; le pecore vanno in lattazione due/tre volte in un anno mentre le capre una. Il formaggio viene fatto tre volte a settimana e dalla mungitura al prodotto finito vengono seguiti i passaggi della tecnologia casearia: sosta in caldaia, aggiunta dell’innesto, del coagulante vegetale o caglio animale, formazione della cagliata, rottura della stessa, spurgo, messa negli stampi, stufatura in camera calda e salatura.
La ricotta tecnicamente non è un formaggio perché deriva dalla ricottura del siero che avanza dalla formazione della cagliata dal latte.
Infine l’alpeggio: fino a qualche anno fa, dopo la primavera la famiglia Pagliai portava il gregge presso Taufi, vicino al Melo di Cutigliano, sull’altro versante della Lima, in località “Il Poderino” e “Gli Alberi”, dove oggi continuano a seminare le patate. Il casolare in cui soggiornavano è oggi paradossalmente tenuto dai proprietari abbandonato e prossimo alla rovina: ce ne sono altri nelle stesse condizioni. Le greggi, sfruttando i ricchi prati stabili delle alture, tenevano pulito e concimavano il terreno, favorendo così i frutti del sottobosco…
[Lorenzo Cristofani]