PISTOIA-SANTIAGO. Cosa mi ha spinto ad intraprendere il cammino di Santiago?
Probabilmente quelle motivazioni che spingevano gli antichi pellegrini e altre più moderne o, come diceva Domenico Laffi, “ inclinazione di genio piegantemi alla necessità di veder cose nuove, in parte allo spirito di pietà verso il glorioso apostolo S.Giacomo” (Viaggio a Ponente). Non lo so con precisione, posso dire però che dopo alcuni racconti di altri pellegrini e coincidenze che mi ricordavano la vecchia ruta jacopea, qualcosa è cominciato a muoversi dentro di me alimentando il desiderio di camminare verso quella meta.
Dopo un periodo di immobilità ho sentito come un richiamo per scrollare quel senso di stagnazione e torpore simile a quella polvere di cui parla lo scrittore francese Georges Bernanos nel suo capolavoro, Diario di un curato di campagna: “è una specie di polvere, andate e venite senza vederla, la respirate, la mangiate, la bevete: è così sottile, così tenue che sotto i denti non scricchiola nemmeno. Ma basta che vi fermiate un secondo, ecco che vi copre il viso, le mani”.
Così capita nella vita che devi scrollarti di dosso la polvere di un periodo che non senti più vivo, che hai bisogno di una sfida per rimetterti alla prova, perché dove sei non trovi quella sazietà che ti riempie il cuore. Hai bisogno di chiudere i libri e con umiltà metterti sulla strada, ancora e sempre mendicante di luce, di Grazia, anche se quando lo fai ancora non ci credi e sei preoccupato dalle contingenze fisiche, dal riposo, dal mangiare, dal trovare l’albergue, il percorso e quanto disterà il prossimo paese.
Ma quando hai deciso di esserci, di essere un pellegrino, è come ricominciare un altro capitolo della vita, darti una nuova possibilità, gustare la gratuità del nuovo giorno con i suoi doni e le amabili presenze che camminano con te. Camminare fuori dai soliti schemi, dai recinti convenzionali, dai pensieri che sempre in città ci assalgono con la loro assediante oppressione per sopravvivere.
Del resto la nostra condizione ci porta ad uscire da noi stessi per incontrare l’altro, la natura, per essere persone disponibili ad accogliere la vita nelle sue manifestazioni, non chiusi nella nostra monade rimpicciolita dalle paure. Il gesto dell’abbandono è quello più liberante perché comporta un atto di fiducia che verrà ripagato con l’imprevisto, con l’incontro dell’inaspettato. Spesso le esperienze che più mi hanno segnato sono state quelle in cui ho lasciato la presa, perché “Tutto ciò che sei incapace di dare ti possiede” (Andrè Gide).
Prima di partire, nell’estate del 2015, non ero sicuro di farcela, di dove sarei arrivato, quali cose portare, feci lo zaino diverse volte, e non sapevo quale poteva essere il più giusto fra quelli che avevo; una mia amica mi aveva prestato il suo, ma era troppo grosso così decisi di acquistarne uno di 45 litri che si rivelò molto funzionale. Avevo l’autobus da Firenze per andare a Marsiglia e da lì a Lourdes, però per andare a Firenze dovevo prendere il treno che era in ritardo, così mi accompagnò mia sorella. Mi sentivo emozionato e leggermente incosciente, sentivo che partivo per qualcosa che trascendeva il semplice viaggio.
Forse ero già pellegrino prima di cominciare a camminare sulla strada per Santiago, avevo già assorbito lo spirito del viandante che cerca altri luoghi per sentirsi più vivo. Le motivazioni che spingono al pellegrinaggio sono molteplici, le ho trovate scritte nella Guida del pellegrino di Santiago di Paolo Caucci von Saucken, uno dei maggiori esperti sul pellegrinaggio jacopeo e non solo.
Prima di tutto si va a Santiago devotionis causa. Il pellegrino sente fortemente una sorta di legame personale con il santo protettore del cammino e in un certo momento della propria vita avverte l’incontenibile necessità di raggiungere la sua “casa”, il luogo dove riposano le sue sante spoglie, il posto dove più di ogni altro è possibile stargli vicino. La devozione e la ricerca di un rapporto personale con San Giacomo, ma anche uscire dalla quotidianità per entrare in uno spazio sacro e misterioso, il piacere di girare il mondo sono i motivi ricorrenti.
Molti pellegrini in epoca Medievale prima di partire compilavano il proprio testamento anche perché non sapevano se sarebbero tornati .Trovo una giusta descrizione in quelle righe di quello che si agitava dentro di me, ma più che la devozione a San Giacomo ancora debole, era un pretesto per uscire e mettersi in movimento come peregrinus, per andare verso una zona del desiderio, trovando pace.
[Massimiliano Filippelli]