centenario della grande guerra. I RAGAZZI DEL ’99 DI OGGI, COME QUELLI DI IERI, DOVRANNO COMBATTERE

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana (Foto tratta da quirinale.it)

PISTOIA. Parlò così il generale Diaz: “Li ho visti i ragazzi del ’99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora”. Un brevissimo resoconto di come i ragazzi del 1899, giovani o forse appena adulti, marciavano baldanzosamente verso il fronte, verso la morte, per una bandiera, decimati poi dalle scariche delle mitragliatrici degli avversari, cantando ancora.

D’Annunzio scrisse, cogliendo come al suo solito quell’impercettibile salto fatto da chi, fino a poco tempo prima, era un ragazzo, che “La madre vi ravvivava i capelli, accendeva la lampada dei vostri studi, rimboccava il lenzuolo dei vostri riposi. Eravate ieri fanciulli e ci apparite oggi così grandi!”. Divenuti adulti, mandati a morire e ad uccidere, qualcuno dice, coraggiosamente, a compiere il proprio dovere.

Chi lo sa. Non lo sapremo mai. Erano del 1899.

Oggi, quelli del 1999 si avviano verso l’urna per la loro prima volta. E ricorderemo, come detto da Mattarella, la fine della Grande Guerra e il sacrificio dei nostri valorosi giovani morti al fronte. Però c’è un sottotesto, spesso, se non quasi sempre, taciuto o insabbiato.

Fu sì il primo conflitto mondiale un’immane tragedia. Gettò le basi, per vari motivi, dei successivi regimi dittatoriali. Ma rappresentò anche, e nessuno può negarlo, un fronte coeso ove l’identità nazionale ebbe modo di rafforzarsi. Il “caporettismo”, l’autocompiacimento per le tragedie e gli errori e le disfatte, è un cancro che in Italia ha portato ad una disaffezione del popolo verso le istituzione e, per estensione, verso la Patria.

Oggi, anzi tra poco, i giovani del 1999 saranno chiamati a votare, adempiendo ad un dovere al quale è obbligatorio ottemperare, pena il finire tutti noi inghiottiti in una disaffezione anarcoide, gettando poi il nostro paese alle ortiche.

Cartolina del 257 reggimento che evidenzia la giovane età dei militari con un passo del Purgatorio di Dante: “Piante novelle. Rinnovellate di novella fronda”.

A diciotto anni saranno in prossimità della fine delle scuole superiori. Si aprirà davanti a loro, a breve, la possibilità di un futuro lavorativo o fatto di studi. Chissà. Dovranno essere in grado di non farsi abbindolare da miti costruiti a tavolino per distruggere quel sacro sentimento di amore che permetteva ai “ragazzi del ’99” di andare in guerra fischiettando, fregandosene del pericolo e abbracciando il tricolore.

Il cosmopolitismo predicato oggi dalla gran cassa del mainstream italiano e non solo, quello secondo cui “Patria” è un concetto obsoleto, deve essere rigettato al più presto e finché il tempo ce lo permette. Noi siamo cittadini italiani, altro concetto che certi soloni tentano di scardinare, e nessun Erasmus o esperienza all’estero potrà o dovrà cambiare tale status.

Non c’è la guerra oggi, grazie a Dio. Ma si combatte comunque, con armi diverse e con altrettanto coraggio. Il primo impegno consiste nel non farsi travolgere da quel confuso ciclone di sentimenti e proposte presentateci come vincenti: l’Italia la si cambia in meglio restando ognuno al proprio posto, che non significa respingere il resto, ma neanche concepire od accettare l’espatrio forzato di 150mila giovani italiani ogni anno seguiti dall’importazione di altrettanti clandestini.

E poi, quando si dovrà tracciare la “X” su quel foglio, dovremo provare, dovranno provare i ragazzi del ’99, a dare fiducia a chi ancora oggi il tricolore lo alza e lo osanna.

[Lorenzo Zuppini]

 

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