CITTÀ POVERA E IN DEGRADO ANCHE SE SI DÀ UN SACCO D’ARIE

Il leccio asfittico di piazza Mazzini
Il leccio asfittico di piazza Mazzini

PISTOIA. Riprendiamo all’ultimo intervento di Paolo Nesti e in particolar modo all’accumulo, nel tempo, di tanti piccoli episodi di degrado relativi agli aspetti più visibili della città. Prendiamo il leccio all’angolo tra Corso Gramsci e piazza Mazzini, dove il conglomerato bituminoso arriva a saldarsi direttamente sulla corteccia dell’essenza arborea. Nemmeno dieci centimetri di rispetto per permettere al terreno l’aerazione e la ricezione delle acque, seppur minime. Ovviamente nel raggio di 40 metri è tutta una distesa di marciapiedi, strade e abitazioni. La stessa situazione si ritrova pari pari in alcuni platani di viale Matteotti, dove gli alberi paiono direttamente emergere, squarciandolo, dall’asfalto.

E pensare che a Pistoia città delle piante ci sono stati, negli anni, dirigenti comunali che hanno firmato e autorizzato simili lavori, magari prendendo anche il premio di produttività a fine anno. È evidente che tutta la retorica sul verde, che si è fatta in ogni sede, e tutte quelle iniziative roboanti come Vestire il Paesaggio, Olimpiadi del Verde etc., non ha prodotto niente di concreto, niente di capace di incidere minimamente sulle scelte amministrative e sulle modalità di permettere la fruizione del verde da parte dei cittadini.

La pista ciclabile di via dello Stadio
La pista ciclabile di via dello Stadio

Si è preteso di esportare, col vivaismo, un modo di vivere i parchi e l’ambiente che la maggior parte dei pistoiesi possiede forse soltanto in astratto, e continuiamo ad ascoltare in gran pompa fiumi di slogan da parte di chi troppo spesso ha dimostrato di non avere, sul green, né educazione né sensibilità.

Sarebbe curioso sapere cosa pensa di queste immagini William Bryant Logan, il decano degli arboricoltori, e se crede magari che al Botanical Garden di New York l’arte pistoiese di gestire il verde urbano possa costituire un primato, ovviamente da non imitare.

Prendiamo poi, sempre seguendo la rassegna, il viottolo a ridosso delle mura di Viale Arcadia – il viale arborato adibito a pubblico passeggio, che quando piove rimane allagato e impraticabile per alcuni giorni. Mancano evidentemente le fondamentali opere di scolo idraulico che richiederebbe invece una zona artificiale e problematica come quella lungo le mura.

Forse aveva proprio ragione Stefano Morandi, presidente di Confcommercio, quando si riferiva alla precedente amministrazione e parlava di un decennio di plastica e inconcludente: sottoscriviamo; del resto se in un periodo di crescita economica non si provvide alle minime infrastrutture primarie quale altra espressione si dovrebbe usare? Precisiamo che si sta parlando di un’amministrazione che raggiunse il singolare record nazionale di racchiudere, in via dello Stadio, un intero filare di ben undici platini in una pista ciclabile. Col risultato di ottenere una pista necessariamente impercorribile e creare poi le condizioni per rovinare definitivamente i grandi alberi.

Il viottolo di viale Arcadia
Il viottolo di viale Arcadia

Adesso, cambiata l’assegnazione degli incarichi dirigenziali, non ci sono più scuse e si auspica che anche nella gestione delle quotidianità urbane possa prevalere un minimo di serietà e che il buonsenso diventi il criterio delle prassi amministrative e burocratiche.

L’ultima ciliegina ci viene da alcune colonne del loggiato della biblioteca Forteguerriana, la Pia Casa della Sapienza, in avanzato stato di sfogliamento ed erosione.

Va bene che in questo Paese non ci sono soldi per la manutenzione ordinaria del territorio e dell’esistente, ma è così difficile programmare almeno un elenco/censimento di “cose da fare” per la tutela di edifici storici, pubblici e non, che soffrono della mancanza di ordinaria manutenzione?

Una colonna della Forteguerriana
Una colonna della Forteguerriana

Non sarebbe meglio avere qualche soprintendente in meno, vista anche la produttività e i risultati di certi superburocrati (vedi per es. qui 1 e qui 2) sparsi in Italia, e spostare un po’ di spesa pubblica in interventi concreti e personale operativo qualificato? Possibile che ancora, nel 2014, si debba ripetere che lasciando alla malora e al degrado l’unica risorsa che non dovrebbe soffrire la competizione globale – il patrimonio storico/artistico/ambientale –, viene preclusa, non tanto la qualità della vita degli italiani, ma direttamente una fonte certa di ricchezza e benessere?

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