PISTOIA. Tutto si può migliorare, soprattutto se a dare dei suggerimenti, sono coloro che, loro malgrado, hanno diretta esperienza delle cure a loro prestate dal sistema di soccorso e cura della sanità toscana, nel caso specifico registrate all’Ospedale San Jacopo, anche noto come “gommone” perché naviga sulle acque del vecchio campo di volo di Pistoia.
Il problema è delicato se investe la sfera di pazienti deboli e remissivi, afflitti dalla malattia o da un incidente, ai quali vogliamo dare voce. Abbiamo assistito direttamente alla caduta di una persona che ci riporta la sua esperienza, sollecitandoci a una riflessione, anche richiesta dall’Usl di “raccontare la loro esperienza”.
Dopo la caduta, un “meno giovane cittadino” ha subito la frattura di una gamba e così, allertato il 118, è stato prontamente soccorso; l’ambulanza è arrivata entro soli 10 minuti con l’equipaggio dei volontari della Misericordia di Agliana.
Il personale intervenuto è stato efficiente, bene attrezzato e molto professionale: in solo mezz’ora dalla chiamata, l’infortunato è stato consegnato al pronto soccorso del San Jacopo e noi siamo felici di aver notizie di soddisfazione e gratitudine rivolte ai soccorritori di Agliana, che sono stati preparati dalla formatrice Dott.ssa Olivia Cialdi.
Il paziente ha fatto il suo percorso di ospedalizzato per due settimane e ha conosciuto la professionalità, l’attenzione e lo spirito di abnegazione del personale infermieristico e di assistenza nel reparto, così come dei clinici, che però sembrano un poco carenti nelle relazioni ai parenti – ma anche ai pazienti – che lamentano una certa reticenza nei loro confronti.
Uno dei pazienti intervistati, ricorda di aver ricevuto il “posto letto” in poche ore, ma appena giunto in reparto ha trovato il compagno di stanza che – ben diversamente – aveva atteso dalle 9 del mattino alle 18 per assere sistemato. Forse i medici del dipartimento di emergenza sono in numero sottostimato rispetto alle reali esigenze di alcune fasce orarie? Questa potrebbe essere la spiegazione di alcuni “travasi” dei clinici che, applicati ai reparti, sono chiamati a sopperire alle emergenze del primo soccorso?
Anche la considerazione sulla spiegazione del “percorso clinico” sembra un punto critico, con tanti dubbi non risolti: alcuni pazienti – e non abbiamo bisogno di fare un intervista a una comunità più numerosa – lamentano una incomprensibile carenza di informazioni durante il ricovero.
La “cartella clinica” è oggi informatizzata e le notizie relative alla cura degli ammalati verrebbero fornite in modo discontinuo e solo su sollecitazione dei familiari: è la privacy! Ma non sarebbe buona cosa portare degli aggiornamenti più tempestivi e puntuali con maggiore chiarezza?
I clinici della riabilitazione, sono medici “esterni” che si espongono solo con referti medici “interni” al reparto, risultando poco reperibili nell’ospedale: il loro telefono mobile è ignoto e così i familiari – solo se saranno più “pazienti dei pazienti” – riusciranno faticosamente a ottenere delle informazioni sul percorso riabilitativo, grazie a un rocambolesco colloquio, al quale si devono impegnare in prima persona, con la sensazione di essere degli impertinenti che disturbano chi è impegnato in una faticosa “routine clinica”.
Alcuni cittadini riferiscono che all’orario del ricevimento dei parenti ricoverati, il medico di reparto è assente perché impegnato in urgenze: insomma l’orario di incontro con i familiari è subordinato al fattore di assenza per emergenze in sala chirurgica o pronto soccorso? Ma allora non si potrebbe cercare di risolvere questo disservizio relazionale che colpisce le famiglie tutte dei ricoverati, allargando l’orario dei colloqui e sdoganando le formalità di corsia?
Le “visite interne”, richieste per altre minori patologie in atto sul paziente, devono essere richieste ai diversi reparti tempestivamente, ma sembrano una sorta di “concessione benevola” e non un diritto sancito dall’organizzazione sanitaria. È cosa normale che certe piccole attività, debbano essere sollecitate da pazienti o parenti? Non si potrebbe pensare a una più efficiente coordinazione delle varie competenze dei diversi reparti specialistici? È così difficile l’organizzazione nell’era dell’informatica?
Il reparto è un posto dove si applicano i protocolli e gli algoritmi (cosa buona e giusta – forse – per l’efficientamento del risultato di cura) ma la prognosi non dovrebbe essere accompagnata anche da una maggiore sensibilità per la sfera umana del paziente? Insomma, meno formalità e più disponibilità!
La sanità toscana ha certamente bisogno di meno dirigenti “burocrati” e di più clinici, meglio se maggiormente “disponibili e attenti” alle spiegazioni del caso umano del ricoverato.
Abbiamo lanciato questa nota, dopo una raccolta di informazioni sul campo: l’ufficio stampa della collega Daniela Ponticelli, potrà registrarla ufficialmente per una risposta pubblica o sarà anche questa gestita nelle segrete stanze della direzione ospedaliera?
Ps – Ma è possibile sapere se è vero che l’Usl non ha una polizza assicurativa per i risarcimenti che deve sborsare alle vittime di incidenti clinici, diagnosi errate o altri errori?
Lo abbiamo già chiesto all’ufficio stampa, ma senza ottenere risposta. La collega Ponticelli potrebbe essere così gentile da prununciare un semplice sì o no? Chiediamo troppo?