sistema marcio. GIORNALISTI VIL RAZZA DANNATA 6. UNA MOSCA SULLO SPECCHIO E TANTA RABBIA DENTRO. LA CRESIMA

Fiorenza dentro da la cerchia antica, | ond’ella toglie ancora e terza e nona, | si stava in pace, sobria e pudica [Dante, Par., XV, 97-9]

VERGIN DI SERVO ENCOMIO
E DI CODARDO OLTRAGGIO
 


La lettera di affidamento dell’incarico da parte della direzione del Messaggero

 

CON LA CRESIMA, come oggi i cattolici di Bergoglio non sanno, si diventa «milites Christi». Roma organizza le sue truppe e le ordina a battaglia, ma il rispetto della religione finisce nello stato in cui è attualmente. Sotto zero.

Anche l’ordine dei giornalisti è – sostanzialmente – una chiesa. E come la chiesa di Bergoglio ha tutti i suoi problemi, forse perché è più la chiesa di Mammona con delle belle «puppone» che dei poveri e degli umili; anche l’ordine si è – dagli anni 70 in poi – talmente canonizzato che ha originato anche un sacro collegio cardinalizio di zuccotti rossi (di nome e di fatto) che hanno ridato vita alla santa inquisizione: quell’affare che assolveva chi voleva e arrostiva chi gli pareva. Ma andiamo con ordine.

Siamo alla cresima, cioè al primo gradino dell’investitura a cavaliere nell’ordine “templare”: ovverosia l’iscrizione all’albo che per me venne il 4 dicembre 1972. Ma come arrivai a questo? È stata una vertigine, come ha scritto una mia allieva sul suo WhatsApp. Fu che il solito Vivaldo Matteoni, di cui vi ho parlato nel capitolo precedente, mi chiamò a telefono in un caldo giorno d’agosto del 1968, e mi pregò di raggiungerlo sùbito nel suo negozio-edicola.

Sbarco da lui, dopo avere camminato sotto un sole che batteva a martello, e mi trovo davanti un distinto signore. «Piacere, piacere, sono l’ispettore Palamidessi di Il Messaggero».

Mi chiedeva se ero disposto a prendermi l’incarico di collaboratore sportivo da Quarrata per le partite di serie D nel campionato che la squadra giallorossa (Giuseppi Conte stavolta non c’entra) seguiva con molte altre squadre, anche importanti (tipo: Monsummano, Pistoiese, Lucchese, Carrara), e le squadre umbre della stessa categoria.

All’epoca il Quarrata non era “Cinci frugiataio”.  Vedetevi la puntata precedente e ricorderete meglio che venivano a fare i servizi, come ho detto, gente come Luca Frati e Maurizio Naldini.

Un famoso carmen buranum dice che a Roma, alle porte del Vaticano, «pauper retro pellitur», il povero viene respinto.

Perché a Roma non si entra senza «dindi» e senza «dindi» non si va in paradiso. Come nell’albo non si è mai entrati senza aver dimostrato di possedere la certificazione che, per il lavoro che hai svolto, sei stato “retribuito”.

Era così nel 70, è così anche oggi (e assai più ferocemente, perché l’ordine sembra il famoso gabelliere di «Non cui resta che piangere», quello che vuole i fiorini e che esige perfino le denunce dei redditi).

Dichiarazione del Dottor Gastone De Anna

Il Messaggero pagava (e neppur poco), senza tanti discorsi. Non come La Nazione che faceva morire di fame e ti compensava con il giornale “a gratis” (l’amministratore Formigli – Ivo? –ne sapeva qualcosa).

Ma come fu, come non fu, il 4 dicembre 1972, come vedete, entrai nel “mezzo servizio” (antiparadiso o antinferno?) dell’ordine. Se preferite, con un piede tra i due battenti del portone.

La cresima era stata impartita e da allora non sono mai uscito da quella “gabbia d’oro” che non ha conosciuto soluzione di continuità; che all’epoca era amministrata e gestita da un Signor Presidente (Gastone De Anna) e che aveva – detto fra noi – i pregi della piccola comunità in cui tutti conoscevano tutti e sorridevano a tutti. Viva gli antichi!

Altri hanno avuto in séguito la presidenza e certe condizioni sono decisamente peggiorate e notevolmente (ma lo racconterò nel capitolo Penitenza o in quello di Estrema Unzione).

Di questi ultimi anni devo però – in coscienza – mostrare soddisfazione e apprezzamento per l’opera di Carlo Bartoli, redattore del Tirreno a Montecatini mentre io, a Pistoia, avevo la responsabilità della pagina di Quarrata-Agliana-Montale (inizio anni 90). Bartoli, si deve dire, qualche passo in avanti lo ha fatto fare all’ordine.

Passi in avanti ne sono stati stoppati, invece, negli anni 2014-15 (vado a mente e posso sbagliare) quando l’ordine ha scoperto che era bello istituire i «tribunali del popolo», le cosiddette commissioni di disciplina, un istituto che, destinato a regolare e censurare i vizi dei giornalisti (che non sono mai pochi), ha, di fatto, dato origine alla nascita di una specie di Csm minore, consiglio superiore della magistratura, che è – a mio giudizio – un esempio brillantissimo, se non addirittura fulgido ed essenziale, della non-imparzialità e della terzietà mancata.

Sono state create delle figure da Isola del dottor Moreau esemplate sulla stessa falsariga dei dirigenti dei decreti Bassanini: collegi giudicanti (3 persone: Presidente, Relatore e Membro), in cui i giornalisti che accedono a tali uffici si «autonominano» – ripeto: «si autonominano»! – e decidono perfino di recitare due parti in commedia come nei Due gemelli veneziani di Goldoni: al tempo stesso, per esempio, Presidenti e Relatori Istruttori in un qualsiasi procedimento disciplinare.

Immaginate cosa sarebbe se un vescovo avesse la facoltà di autonominarsi arcivescovo e cardinale da sé come il famoso prete-bandito del Marchese del Grillo. E ditemi quanta terzietà garantita può esserci in una aberrazione/zabaglione di tal fatta, compatibile solo con un medioevo da coronavirus esercitante il diritto dello «ius primae noctis»! Si arriva lì e ci si ferma.

Dichiarazione di Adriano Tosi. Non era già questa una dichiarazione di avvenuto praticantato?

Ci manca solo che un presidente di consiglio di disciplina si nomini anche membro e di tre che dovrebbero essere in corso – per paradosso – ne resta uno che svolge i ruoli e i compiti di Padre, Figlio e Spirito Santo. Gli altri due ci sono ma, come nella tragedia greca, recitano la parte del famoso «personaggio muto».

Democrazia, sicurezza e controllo iscritti? Quali, scusate? Certezza dell’applicazione dei criteri del diritto e delle norme in chi nomina se stesso barone, conte e marchese? Ma dove?

Se un mestiere così delicato, come questo dell’informare, viene sottoposto a istituti che puzzano di autocrazia come l’acuto odore degli effluvi di una discarica a cielo aperto, cosa dobbiamo aspettarci se non un rischio concreto, reale, di assistere a sanzioni disciplinari non equamente correttive, ma con tutti i requisiti e i crismi delle condanne o delle assoluzioni politiche a seconda di chi giudica e di come giudica?

Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine Giornalisti Toscana [da Gonews]
Spiegatemi che differenza c’è fra il tanto odiato «fascismo» e questa «ineccepibile democrazia» ai tempi del coronavirus. E, se mai, rinviateci – noi dissacratori e disobbedienti ai diktat – alla commissione di disciplina perché, con l’esprimere liberamente le nostre opinioni, rifiutiamo di soggiacere a chi vorrebbe un costante “bacio della pantofola”.

I babilonesi – dice Il Piccolo Diavolo – sono morti tutti! L’impero persiano è svanito. Come tutti gli imperi – compresso quello russo e quello cinese. Oggi c’è solo un gran casino, credo, e un’ingiustizia che è come il coronavirus: inarrestabile.

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di cronaca, critica, satira e memoria storica
È democratico, secondo voi, che un collega giudichi un collega assumendo, “motu proprio”, ruoli e funzioni multiple e agglutinate? O non è, questo, il tempo del “gluten free”? «A me me pare ’na strunzata!» dicevano i famosi Trettré


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