VERGIN DI SERVO ENCOMIO
E DI CODARDO OLTRAGGIO
CON LA CRESIMA, come oggi i cattolici di Bergoglio non sanno, si diventa «milites Christi». Roma organizza le sue truppe e le ordina a battaglia, ma il rispetto della religione finisce nello stato in cui è attualmente. Sotto zero.
Anche l’ordine dei giornalisti è – sostanzialmente – una chiesa. E come la chiesa di Bergoglio ha tutti i suoi problemi, forse perché è più la chiesa di Mammona con delle belle «puppone» che dei poveri e degli umili; anche l’ordine si è – dagli anni 70 in poi – talmente canonizzato che ha originato anche un sacro collegio cardinalizio di zuccotti rossi (di nome e di fatto) che hanno ridato vita alla santa inquisizione: quell’affare che assolveva chi voleva e arrostiva chi gli pareva. Ma andiamo con ordine.
Siamo alla cresima, cioè al primo gradino dell’investitura a cavaliere nell’ordine “templare”: ovverosia l’iscrizione all’albo che per me venne il 4 dicembre 1972. Ma come arrivai a questo? È stata una vertigine, come ha scritto una mia allieva sul suo WhatsApp. Fu che il solito Vivaldo Matteoni, di cui vi ho parlato nel capitolo precedente, mi chiamò a telefono in un caldo giorno d’agosto del 1968, e mi pregò di raggiungerlo sùbito nel suo negozio-edicola.
Sbarco da lui, dopo avere camminato sotto un sole che batteva a martello, e mi trovo davanti un distinto signore. «Piacere, piacere, sono l’ispettore Palamidessi di Il Messaggero».
Mi chiedeva se ero disposto a prendermi l’incarico di collaboratore sportivo da Quarrata per le partite di serie D nel campionato che la squadra giallorossa (Giuseppi Conte stavolta non c’entra) seguiva con molte altre squadre, anche importanti (tipo: Monsummano, Pistoiese, Lucchese, Carrara), e le squadre umbre della stessa categoria.
All’epoca il Quarrata non era “Cinci frugiataio”. Vedetevi la puntata precedente e ricorderete meglio che venivano a fare i servizi, come ho detto, gente come Luca Frati e Maurizio Naldini.
Un famoso carmen buranum dice che a Roma, alle porte del Vaticano, «pauper retro pellitur», il povero viene respinto.
Perché a Roma non si entra senza «dindi» e senza «dindi» non si va in paradiso. Come nell’albo non si è mai entrati senza aver dimostrato di possedere la certificazione che, per il lavoro che hai svolto, sei stato “retribuito”.
Era così nel 70, è così anche oggi (e assai più ferocemente, perché l’ordine sembra il famoso gabelliere di «Non cui resta che piangere», quello che vuole i fiorini e che esige perfino le denunce dei redditi).
Il Messaggero pagava (e neppur poco), senza tanti discorsi. Non come La Nazione che faceva morire di fame e ti compensava con il giornale “a gratis” (l’amministratore Formigli – Ivo? –ne sapeva qualcosa).
Ma come fu, come non fu, il 4 dicembre 1972, come vedete, entrai nel “mezzo servizio” (antiparadiso o antinferno?) dell’ordine. Se preferite, con un piede tra i due battenti del portone.
La cresima era stata impartita e da allora non sono mai uscito da quella “gabbia d’oro” che non ha conosciuto soluzione di continuità; che all’epoca era amministrata e gestita da un Signor Presidente (Gastone De Anna) e che aveva – detto fra noi – i pregi della piccola comunità in cui tutti conoscevano tutti e sorridevano a tutti. Viva gli antichi!
Altri hanno avuto in séguito la presidenza e certe condizioni sono decisamente peggiorate e notevolmente (ma lo racconterò nel capitolo Penitenza o in quello di Estrema Unzione).
Di questi ultimi anni devo però – in coscienza – mostrare soddisfazione e apprezzamento per l’opera di Carlo Bartoli, redattore del Tirreno a Montecatini mentre io, a Pistoia, avevo la responsabilità della pagina di Quarrata-Agliana-Montale (inizio anni 90). Bartoli, si deve dire, qualche passo in avanti lo ha fatto fare all’ordine.
Passi in avanti ne sono stati stoppati, invece, negli anni 2014-15 (vado a mente e posso sbagliare) quando l’ordine ha scoperto che era bello istituire i «tribunali del popolo», le cosiddette commissioni di disciplina, un istituto che, destinato a regolare e censurare i vizi dei giornalisti (che non sono mai pochi), ha, di fatto, dato origine alla nascita di una specie di Csm minore, consiglio superiore della magistratura, che è – a mio giudizio – un esempio brillantissimo, se non addirittura fulgido ed essenziale, della non-imparzialità e della terzietà mancata.
Sono state create delle figure da Isola del dottor Moreau esemplate sulla stessa falsariga dei dirigenti dei decreti Bassanini: collegi giudicanti (3 persone: Presidente, Relatore e Membro), in cui i giornalisti che accedono a tali uffici si «autonominano» – ripeto: «si autonominano»! – e decidono perfino di recitare due parti in commedia come nei Due gemelli veneziani di Goldoni: al tempo stesso, per esempio, Presidenti e Relatori Istruttori in un qualsiasi procedimento disciplinare.
Immaginate cosa sarebbe se un vescovo avesse la facoltà di autonominarsi arcivescovo e cardinale da sé come il famoso prete-bandito del Marchese del Grillo. E ditemi quanta terzietà garantita può esserci in una aberrazione/zabaglione di tal fatta, compatibile solo con un medioevo da coronavirus esercitante il diritto dello «ius primae noctis»! Si arriva lì e ci si ferma.
Ci manca solo che un presidente di consiglio di disciplina si nomini anche membro e di tre che dovrebbero essere in corso – per paradosso – ne resta uno che svolge i ruoli e i compiti di Padre, Figlio e Spirito Santo. Gli altri due ci sono ma, come nella tragedia greca, recitano la parte del famoso «personaggio muto».
Democrazia, sicurezza e controllo iscritti? Quali, scusate? Certezza dell’applicazione dei criteri del diritto e delle norme in chi nomina se stesso barone, conte e marchese? Ma dove?
Se un mestiere così delicato, come questo dell’informare, viene sottoposto a istituti che puzzano di autocrazia come l’acuto odore degli effluvi di una discarica a cielo aperto, cosa dobbiamo aspettarci se non un rischio concreto, reale, di assistere a sanzioni disciplinari non equamente correttive, ma con tutti i requisiti e i crismi delle condanne o delle assoluzioni politiche a seconda di chi giudica e di come giudica?
Spiegatemi che differenza c’è fra il tanto odiato «fascismo» e questa «ineccepibile democrazia» ai tempi del coronavirus. E, se mai, rinviateci – noi dissacratori e disobbedienti ai diktat – alla commissione di disciplina perché, con l’esprimere liberamente le nostre opinioni, rifiutiamo di soggiacere a chi vorrebbe un costante “bacio della pantofola”.
I babilonesi – dice Il Piccolo Diavolo – sono morti tutti! L’impero persiano è svanito. Come tutti gli imperi – compresso quello russo e quello cinese. Oggi c’è solo un gran casino, credo, e un’ingiustizia che è come il coronavirus: inarrestabile.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di cronaca, critica, satira e memoria storica
È democratico, secondo voi, che un collega giudichi un collega assumendo, “motu proprio”, ruoli e funzioni multiple e agglutinate? O non è, questo, il tempo del “gluten free”? «A me me pare ’na strunzata!» dicevano i famosi Trettré