sistema marcio. GIORNALISTI VIL RAZZA DANNATA 7. UNA MOSCA SULLO SPECCHIO E TANTA RABBIA DENTRO. INTERMEZZO

Iniziò tutto negli anni 70, ma l’avventura di Tele Quarrata dimostrò che chi non vuole padroni non ha futuro

AVEVAMO RISCHIATO
DI FINIRE IN GALERA


Telequarrata. Signorina 1

 

LA PUNTATA precedente era terminata con la riflessione sui tempi del coronavirus e sull’improbabile democrazia di organi di autodisciplina che sono la negazione, nei fatti, dei fini di giustizia per i quali sono nati – come ad esempio le commissioni di disciplina degli ordini professionali, giornalisti compresi e (oserei aggiungere) in prima linea.

Diciamo che con questo intermezzo, e prima di passare al capitolo dell’eucarestia, è necessario rappresentare altri piccoli aggiustamenti – ma di grande peso e importanza – che i nostri lettori, sempre pronti a dir male di noi e a chiamarci con epiteti poco eleganti (grandi cinghiali, suini, maiali stercorari e molto altro ancora, per finire al «giornalettismo di merda» della gentile signora Barbara Dardanelli di Montale) devono necessariamente conoscere anche perché, se la sera si svaccano sui divani di casa e, con il telecomando in mano, spippolano fino a 1000 canali, lo devono, almeno in parte, anche all’iniziativa di chi sta scrivendo e di un altro avventuroso, estroso e creativo personaggio notevole di Quarrata.

Telequarrata. Signorina 2

Intanto, per dovere di cronaca e di storia, il primo effetto della cresima all’albo dei giornalisti fu, nell’immediato, la nascita di un mensile a stampa dal titolo semplice di La Gazzetta di Quarrata; un sei colonne stampato in tipografia (la Grafix di Siliano Bambini, un grande amico tipografo che mi ha fatto scuola) anche di notte e fino alle tre o alle quattro del mattino. Primo numero il 1° giugno 1973 – oggi reperibile in Forteguerriana a Pistoia).

Al centro un gruppo di studenti-lavoratori delle serali e tanto, tantissimo entusiasmo con un Luciano Tempestini inarrestabile, un Alberto Matteoni (cugino di Vivaldo) presidente di una associazione culturale, e una Marica Tarocchi, ragioniera in Comune, che teneva la contabilità alla lira.

Che tempi, ci sarebbe da dire, cari ragazzetti che oggi scrivete senza passare neppure un tirocinio minimo di interfaccia con la gente da una parte e con il mestiere dall’altra, perché il giornalismo non s’impara all’università con il film 10 in amore!

Il primo numero. 1° giugno 1973

Una pagina della Gazzetta pesava 250 chili di piombo di linotipia; i titoli venivano “rizzati” a mano con un compositore; le cose si facevano con il tipometro in mano e in officina si respirava il più bell’odore del mondo: quello dell’inchiostro al piombo, inebriante e… letale.

L’esperienza cartacea continuò l’anno successivo con Il Mensile, esteso sui comuni di Quarrata e Poggio a Caiano. Un periodico che che aveva come condirettore il fotografo Alessandro Frati, negozio sulla salita del Poggio, dinanzi a quel Comune che, anni prima, era stato la scuola media mia e di don Paolo Tofani, il prete filopalestinese correttore morale (senza crederci) della benemerita Misericordia di Agliana.

Fra l’altro, ai dì del Messaggero e della serie D, Agliana conobbe un grande terzino neroverde, famoso come “troncatore di gambe”, che oggi predica il segno della pace dagli schermi di Tv Pistoia Libera-Bardelli: don Diego Pancaldo, anche lui nato il 4 giugno come me (seppure… un po’ diverso da me).

Ma passo ad altro perché la follia dei tempi fu altra e fu, alla fine, tutto sommato inutile, dato che tutti ci guadagnarono, tranne noi che la iniziammo e la facemmo sviluppare.

Se oggi, dicevo, gli italiani si mettono a spippolare in poltrona sui canali che vogliono, lo devono anche a chi scrive e a Luciano Michelozzi, quel personaggio curioso e creativo che, sempre in giro con sole 250 lire di benzina nel serbatoio della sua Alfasud scassata e rugginosa, toccava due fili e una valvola e… creava il miracolo della televisione.

Così finimmo in mano al pretore di Pistoia

Erano intanto nate le tv-cavo, dei clamorosi troiai. Il futuro non poteva che essere uno: quello del via-etere; cioè le tv libere che però, al momento, erano di là da venire a giudicare i vivi e i morti. La prima (o una delle prime) in Italia a correre il rischio di aprire, fu Telebiella, che in séguito disse ciao al cavo su cui era nata. E Luciano aveva letteralmente preso fuoco per questo progetto che lo abbagliava.

Con il Michelozzi ho lavorato i miei 18 anni della Nazione: come dirgli di no nell’impresa? Nel registro delle testate del tribunale di Pistoia, ne iscrivemmo una con il titolo di Tv Libera Quarrata, ma rigorosamente come testata cartacea.

Anche in quel caso ero direttore responsabile, quando molti dei «pisquanelli», che oggi hanno la puzzetta sotto il naso e popolano l’ordine dei giornalisti, non erano ancor nati. E nel nostro caso specifico, il tentativo era quello di sfondare il muro dell’etere, allora regno assoluto e proprietà privata dello stato affidata alle Poste. Solo che, con certa disobbedienza civile così cara alle sinistre e ai sardinifici, allora, fine anni 70, si finiva davvero in galera e senza tanti sconti.

Dai, picchia e mena, nel 1976 finimmo anche noi (Luciano Michelozzi e Edoardo Bianchini) nell’occhio del ciclone: e il pretore di Pistoia non la fece troppo lunga. Con decreto 3725/76 R. Gen., su segnalazione di Escoposte, fummo sottoposti a procedimento penale per violazione degli articoli 1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975 numero 103. L’accusa era di trasmissioni abusive via etere. Il decreto lo avete in immagine, leggetelo.

E fummo prosciolti

Se non avessimo anche noi partecipato alla pacifica ribellione civile contro il diritto assoluto all’etere riservato allo stato-padrone, quando mai oggi gli italiani avrebbero potuto vedere tutti i programmi demenziali che passano sotto gli occhi del popolo, dal grande nonsocché alle stupidaggini della D’Urso o della Balivo? Ci ha mai pensato, a questo, la collega dottoressa Laura Pugliesi, presidentA di una delle commissioni di disciplina dell’ordine dei giornalisti della Toscana, la quale – stando alle notizie del suo curriculum vitae – ha iniziato la sua «via piana in carriera» partendo da Teletruria 2000, Ceciliano Arezzo, dal 1980 al 1985 come giornalista Tv?

Luciano Michelozzi possedeva una casa sul Montalbano in località Maestrino, sopra Buriano, e da lì poteva “sparare”, guardando a Nord, sulla destra sopra Firenze, sulla sinistra sopra Pistoia e avanti su Prato. In pratica la conca di utenza più importante e popolata della Toscana dato che conteneva Prato e, con quella lana, tutta l’area metropolitana.

Fortunatamente una provvidenziale “soffiata” (non c’è cosa che si fa, che non si venga anche a sapere…) permise a Luciano Michelozzi di fare sparire l’impianto di trasmissione e il tutto finì in una bolla di sapone: il fatto non sussisteva. Di fatto però l’emittente del Montalbano occupò tutte le frequenze che oggi bombardano la piana Pistoia-Firenze.

Chiederete perché non ci abbiamo guadagnato una palanca. E la risposta è semplice. Quando, passato il principio della libertà di trasmissione, mi fu chiesto, come direttore responsabile, di utilizzare 30 milioni a disposizione in una società come quelle che stavano nascendo allora, il Michelozzi, con il suo spirito anarcoide mi rispose senza tentennamenti: «No, grazie – disse –. Non voglio padroni in casa!». Dove finirono quei 30 milioni? Vi rispondo con una domanda: quante televisioni ci sono oggi a Pistoia?

Il verbale di Escoradio

Con quei trenta milioni (una bella cifra per quell’epoca) avremmo potuto realizzare un trasmettitore di una potenza che ci avrebbe permesso di occupare, senza concorrenti, tutti i canali che, proprio perché eravamo un lumino da cimitero, non potevamo coprire e possedere stabilmente. Così vennero il Montagni di Firenze, Rtv38 (che all’epoca trasmetteva anche film porno e dalle stanze di un convento, per di più) e il Berlusca e – come si dice – ci «coprirono» e ci misere al buio.

Partirono tutti e, come al solito, chi aveva aperto la via (cioè noi) alla fine restò in coda ai convogli degli arrembatori, per mancanza di grana. Mi spiace essere rimasto povero? No, assolutamente.

Perché se anche traboccassi di quattrini come i Soros della globalizzazione, possono sempre arrivare un’influenza asiatica e tre o quattro coronavirus e stecchirmi in pochi giorni.

E di tutta la «merda di Satana» o stercus diaboli, cari colleghi giornalisti, anche quelli delle commissioni di disciplina che credono di plasmare il mondo a loro immagine e somiglianza, cosa me ne farei dopo la fiammata che mi salverà dai dentini voraci dei vermi?

À votre complète santé! Je m’en fous, de vous aussi!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di cronaca, critica, satira e «andate a scuola a imparare di più»
Dietro a ogni cosa ovvia c’è sempre una scia infinita di battaglie: poi, dopo la conquista della libertà, arrivano sempre le truppe cammellate della moralizzazione che costruiscono i palazzi di giustizia non sul «rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede» (art. 2, L. 69/63), ma sul Credo etico della chiesa di cui si sono fatti gesuiti…


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