DUECENTO anni fa, il sovrano di un modesto Stato dell’Europa meridionale, il re Vittorio Emanuele I, riprendeva pieno possesso di tutte le proprie terre, nonché delle tradizioni, della cultura e della politica del regno.
Il monarca, ancorato a principi dinastici e assolutistici, era tuttavia paternamente premuroso verso i sudditi: le popolazioni contadine, socialmente arretrate e in larga parte analfabete, percepivano con insofferente sospetto il vento delle nuove idee, perché identificavano la libertà nella normalità e lo Stato nel legittimo sovrano.
Soltanto pochi esponenti delle élite culturali sentivano il disagio e l’oppressione di quel paternalismo. Per noi sarebbero stati patrioti, ma all’epoca erano considerati sovversivi, anche pericolosi.
Questi erano il clima e l’ambiente che il 20 maggio 1814 accolsero con festose acclamazioni il ritorno a Torino di Vittorio Emanuele I re di Sardegna, che riprendeva possesso dei propri domini continentali (Savoia, Nizza, Piemonte e poco dopo anche la Liguria) dopo l’esilio nell’isola, cui l’aveva costretto Napoleone per più di tre lustri.
Un premio che il Congresso di Vienna (1815) accordava al sovrano sabaudo per la sua fedeltà alla causa antifrancese: un premio assicurato e… minacciato dalle baionette austriache del feldmaresciallo principe di Schwarzenberg.
Manzoniano “vaso di coccio tra vasi di ferro”, il ricostituito regno sardopiemontese doveva subito fornire prova di stabilità e affidabilità, pena il protettorato diretto da parte dell’incombente impero asburgico.
Tale pressante esigenza comportava la garanzia di due certezze: l’indiscussa autorità del re e il controllo stringente dell’ordine e della sicurezza pubblica. Obiettivi conseguibili solo con un apparato statale efficiente e una polizia professionale e assolutamente fedele.
Vittorio Emanuele pose immediatamente mano a queste incombenze, cercando di conciliare le regole rigide dell’antico con l’esperienza maturata del nuovo. Ossia ristabilì organi e leggi precedenti l’occupazione francese, utilizzando tuttavia anche uomini e strutture che in essa avevano dimostrato competenza ed efficacia.
Così il 13 luglio 1814 diede vita al corpo dei Carabinieri Reali, che si volle legato strettamente alla dinastia e alle istituzioni monarchiche, ma con struttura e personale già sperimentati nell’impero napoleonico. Fu una brillante intuizione, tutt’oggi in pieno successo.
Tra i massimi protagonisti del Risorgimento, soprattutto nel fronte interno, dove hanno fatto da tessuto connettivo nazionale, i Carabinieri sono stati e sono un baluardo a difesa dello Stato, secondo quei concetti di legittimità e di legalità che ne hanno anche mantenuto il privilegio della tutela del suo Capo, al di là e nell’ambito dei mutamenti istituzionali.
Certo quel re “codino” ma saggio e i suoi accortissimi consiglieri non avevano conoscenza di quanta lungimiranza ci fosse nel modello di sicurezza che avevano progettato, ma hanno lavorato bene, molto bene: e quel modello è stimolo ed esempio oggi per altri stati e motivo comunque dell’ammirazione internazionale.
Ammirazione per l’Arma, ammirazione per l’Italia. Questa è la ricchezza tramandata dai nostri due secoli di storia, che ci accingiamo a celebrare con diverse iniziative e per le quali speriamo in un solidale e affettuoso sostegno da parte degli amici dell’Arma che già ci hanno dimostrato più volte la loro concreta vicinanza.
[estratto da «viinforma 2014» n. 2/14, vibanca]
[*] – Associazione Nazionale Carabinieri di Pistoia