Leopardi aveva regione quando diceva che il «genere umano, … non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina. In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne sieno salvi». Pensava, forse, a molti dei giornalisti di oggi e a qualche magistrato particolarmente supponente?
Che razza di rompipalle questi di Linea Libera, vero compagni?
Qual è il fine del vero giornalista
se non colpire chi ha “poter fascista”?
Prerequisito per comprendere ciò che stiamo per scrivere, è rivedersi il film caramelloso (10 in Amore) interpretato da Doris Day e Clark Gable. Per il resto, l’argomento riguarda il tema di come si deve o non si deve fare un titolo su un giornale, senza confezionarlo o con stupidità (prima ipotesi: grave) o in malafede (seconda ipotesi: ancor più grave).
È inutile che l’ordine dei giornalisti della Toscana abbia sagagnato i maroni a tutti gli iscritti, se – come si vede con il titolo di oggi della Nazione – i giornalisti di Pistoia fuorviano alla grande la mente del lettore andando in culo all’ «obbligo inderogabile» del «rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede».
Noi di Linea Libera siamo dei cani infedeli, ma abbiamo una qualità che deve esserci riconosciuta: contrariamente ai magistrati della procura e a certi “professionisti” della carta stampata e no, siamo in grado leggere, interpretare, comprendere e rispettarli, gli obblighi stabiliti dal famoso art. 2 della legge 69/63 dedicata ai gazzettieri (cit. da Gozzano ironico per indicare i giornalisti).
Dice La Nazione: «Diffamarono l’ex comandante Nesti: assolti Bianchini e Romiti». Bellissima “cazzata espressiva”. Se mai «non diffamarono» e perciò sono stati assolti.
O volete che la gente creda – giornalisti amici della procura e delle sue veline – che noi siamo stati dei privilegiati in quanto assolti nonostante avessimo diffamato Andrea Alessandro Nesti? O ragazzòli, a nostro parere (art. 21 Costituzione di Benigni & Mattarella) avete fatto un titolo da schifo.
Guardate quei più furbi del Tirreno. Fra l’altro “privilegiati” dai poteri delle «autorità costituite» agli ordini, oggi, di Coletta: «Assolti dall’accusa di aver diffamato l’ex comandante».
Va da sé poi se, per questa notizia, sia La Nazione che Il Tirreno hanno speso il minore spazio possibile, perché entrambe le testate vedono, in rompipalle come noi, i personaggi di cui parla, più in su, il Leopardi nei suoi Pensieri.
Il diavolo, quando sente l’acqua santa, si gratta da tutte le parti e gli piglia l’orticaria. O no?
Non vogliamo andare oltre, per ora. Aggiungiamo solo che:
- dedichiamo questa nostra riflessione di giornalismo in “salsa veritiera aglio olio e peperoncino alla Montanelli” a due illustri nostri accusatori nel maldestro processo politico sigillato dal giudice Luca Gaspari qualche mese fa. Ci riferiamo ai sostituti Claudio Curreli e Giuseppe Grieco, che perlopiù non leggono o, se lo fanno, lo fanno solo distrattamente o decisamente male;
- e preannunciamo a La Nazione che chiederemo ufficialmente la rettifica a norma dell’art. 8 della legge 47/1948. Glielo ricordiamo:
«Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche […] sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono», tenendo presente che «Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate».
Buona giornata, pistoiesi soggetti alle schizofrenie del Sarcofago di Vanni Fucci!
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Come in tutte le cose anche nel fascismo esiste una forma storica e una forma perenne. Quella perenne a Pistoia c’è di casa.
Ci fu con Benito ed è rimasta anche oggi, pur se ha cambiato colore in rosso cardinale…