Elena Bardelli (Serravalle Civica): “Occorrerebbe maggiore senso di realtà e riflessione da parte dei sindaci e delle giunte comunali”
SERRAVALLE. Da qualche anno a questa parte le RSA in Toscana spuntano come funghi un pò dappertutto. Dopo la realizzazione delle due RSA a Cecina sarebbero infatti in costruzione, o comunque già con concessione edilizia ottenuta, analoghe Rsa a Pistoia (160 posti), Prato (240), Quarrata (160), San Miniato (160), Serravalle Pistoiese (120 a Cantagrillo e 60 a Masotti), Monsummano Terme (160), Castelfiorentino (160), Sovigliana (160) e molte altre fra i 120 e i 160 posti, più quelle (tante) previste sotto la soglia di 80 posti.
Gli investitori — il gruppo veneto Carron che cede poi la gestione della struttura socio-sanitaria al gruppo milanese Gheron — puntano a realizzare 4.000 posti entro il 2026, rispetto ai 12.400 esistenti. Spesso vengono costruite due Rsa attigue da 80 posti per ovviare alla legge toscana che prevede per ogni residenza per anziani un massimo di 80 posti.
Ma a chi e a che cosa servono tutte queste nuove RSA se nelle strutture tuttora esistenti ci sono liste di attesa bloccate e migliaia di posti letto vuoti? Si registra infatti sia una carenza di quote sanitarie, ovvero quella parte della retta versata dalla Regione — 52,30 euro al giorno — per mantenere l’anziano ospite, sia un aumento di ben 13 euro al giorno della quota sociale a carico dell’assistito a partire dal 1 gennaio 2022: condizioni che impongono agli anziani meno abbienti di rimanere in attesa.
La maggior parte degli anziani ha bisogno di vedersi riconosciuta la parte «sanitaria», poiché altrimenti non riuscirebbe a coprire l’intera retta (di norma dai 2.980 ai 3.460 euro). Tale situazione, oltre che costituire una limitazione dei diritti personali, determina anche difficoltà economiche per i gestori delle RSA storiche, che vedono minori entrate e maggiori costi.
Da tenere presente è poi la politica sanitaria del governo e della Regione Toscana, che va nella direzione del potenziamento delle cure e dell’assistenza domiciliari.
La realizzazione delle nuove strutture dipende solo dall’autorizzazione dei Comuni, che in genere la forniscono senza grossi problemi, allettati dai proventi degli oneri di urbanizzazione e dalle presunte (e sottolineo presunte) ricadute positive in termini di occupazione lavorativa.
Occorrerebbe invece maggiore senso di realtà e riflessione da parte dei sindaci e delle giunte comunali: c’è davvero bisogno di nuove RSA?
Prima di approvare tali ambiziosi progetti, perché gli amministratori non si impegnano per la concessione di un numero sufficiente di quote sanitarie da parte della Regione al fine di permettere l’accesso alle residenze a chi ha veramente bisogno?
Elena Bardelli
Serravalle Civica