lapislazzuli e turchesi. QUANDO È IL NOME A FARE LA DIFFERENZA (O ANCHE IL COGNOME TURCO)

Una pesante condanna, data la tenuità del reato, quella comminata a Massimo Galli, ma che ci costringe a tornare sull’importanza del nome, come nel caso di Lucia Turco, ovvero del luogotenente Daniele Cappelli minacciato dal procuratore capo Tom Col, quando era sostituto a Firenze


Tommaso Coletta dice che è indifferente alle “prossimità sociali”. Ma se riguardano i suoi prossimi di ufficio, cambia tutto

 

PISTOIA. La condanna di Massimo Galli, noto epidemiologo nazionale è abnorme e si immagina che nell’appello, sarà sicuramente totalmente salvato. In Italia funziona così.

È stato infatti assolto per altri e più importanti reati, e condannato per una banale errata trascrizione di una data su di un registro e così accusato di avere “pilotato un concorso universitario”. L’exceptio criminis c’è, ha detto il tribunale, che dunque lo ha condannato dandogli 14 mesi di carcere con i benefici della sospensione e non menzione.

Che combinazione! Anche a chi scrive, il giudice Luca Gaspari ha inflitto 16 mesi, ma con menzione e senza il beneficio della sospensione: questo anche se la fedina penale è pulita: il Gup ha negato ogni attenuazione.

Una condanna esemplare quella comminata, che aveva anche un’utilità diretta vetero staliniana, per ben “piegare la schiena” alla comunità degli altri giornalisti che, del resto, a Pistoia, sono tutti perfettamente omologati al mainstream della reticenza massima sulle critiche da farsi alle autorità costituite tanto care alla Gip Martucci.

Massimo Galli è nato con un cognome scomodo. Ma se la caverà comunque

I giornalisti di Linea Libera devono essere bene “accuditi” e infatti, la più persecutoria sentenza ha avuto effetti maieutici anche sul presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana, quel Giampaolo Marchini che, ignorando e calpestando l’articolo 27 della Costituzione, rispose che non intendeva fare nessuna difesa di chi scrive perché già condannato in primo grado di giudizio.

S’arrangiasse, disse Marchini, così impara a non conformarsi. Marchini se ne frega altamente delle garanzie costituzionali ed europee che asseriscono l’innocenza fino a sentenza definitiva: non volle far costituire dell’Ordine quale parte civile in un procedimento di aggressione contro un cronista.

Un “brutto episodio”, come ci disse Alberto Spampinato dall’agenzia di “Ossigeno per l’informazione”, voltandosi dall’altra parte e aprendo un’ulteriore frattura di aspetto deontologico, evidentemente “non rilevante” per colui che dirige un’agenzia sindacale che fa della morale una questione di fondamentale centralità..

Anche il presidente nazionale Bartoli è d’accordo con Marchini sulcalpestare l’articolo 27 della Costituzione?

Non si era accorto il più bardelliano Presidente dell’Ordine (anche di questo, la categoria dovrebbe preoccuparsi e non poco), che così ha esposto l’intero gruppo toscano a un precedente giudiziario di non poco conto?

Dallo scorso settembre quindi, a qualunque condanna erronea di un giudice di prime cure – pressato dalla Procura, come nel caso di Gaspari, non si risponde e non si assiste. Gaspari, è bene ricordarlo, si trovò davanti, costipati nello scranno della pubblica accusa, ben tre Pm: il capo della procura, il turchiano di ferro Coletta, il montanelliano Grieco e lo scout Agesci Curreli –  che puntavano il dito sul cronista di turno imputato di diffamazione aggravata.

Marchini è rimasto indifferente al massacro mediatico assicurato dal “sistema” estromettendo ogni considerazione alla più alta e dignitosa tutela offerta, già dal dopoguerra, dall’articolo 27 della Costituzione . Un articolo tanto celebrato, che tanto piace a Mattarella e la Benignaccio nostro, ma che è parimenti ignorato: dice infatti che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. È chiaro, questo, per tutti?

Ritornando Massimo Galli, l’episodio della sua condanna – che non rileva niente, a parere di chi scrive, proprio per le garanzie del medesimo articolo costituzionale – è dimostrativa della importanza del nome per gli esiti di un’attenzione dovuta per delle ipotesi di reato.

Se il notevole epidemiologo, si fosse chiamato Turco e fosse stato ordinario all’università di Firenze, con il sostituto Coletta, non sarebbe stato intercettato e dunque, non sarebbe stato indagato e poi rinviato a giudizio e condannato.

Oppure, se preferite, se avesse avuto un PM friendly come Tom Col (uno che lavora con risultati discutibili anche grazie alla polizia giudiziaria dei CC Panarello, eterodiretta nelle indagini  (sentitevi la clip audio nel servizio), che calpesta l’articolo 358 del c.p.p. e un fratello o sorella collega del sostituto, la notizia non sarebbe mai stata disponibile alla comunità dei cittadini. Cioè, l’inchiesta non sarebbe nemmeno nata, visti in presupposti di deviazione che a Firenze aveva preso il nome eloquente di “Concorsopoli”. Avete dei dubbi?

Coletta premia Placido Panarello (anche se sbaglia facilmente nel suo delicato lavoro)

Provate a esporceli: questo si chiede specificatamente anche alla signora Daria Bresciani neo presidente della Camera Penale pistojese che, però purtroppo, non è affatto (che bello!) parente della più famosa collega Daria Bignardi del format “Invasioni barbariche”: siamo certi che, in tale ipotesi, avrebbe fatto un po’ più domande uncorrect!

Che dice il Consiglio che nel suo manifesto programmatico richiama che la Camera “…opera una tutela politica del diritto di difesa in tutti i suoi aspetti, ricercando l’attuazione ed il rispetto dei principi costituzionali degli artt. 24 e 111 della Carta Costituzionale”? E degli articoli 3, 21 e 54 che ne facciamo? “Strame” come ama affermare il sostituto Curreli?

A.R.
[alessandroromiti@linealibera.info]



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