sinagra&cuffaro 84/1. CAMILLERI AVEVA RAGIONE. PROCURA DELLA REPUBBLICA: DIO CI SCAMPI DALL’IMMORTALE NOSTRO GIUDICE NATURALE


Quando i padri costituenti stabilirono il testo della Costituzione non commisero un solo errore, ma molti, come abbiamo potuto vedere e vivere sulla nostra pelle in questi 74 anni di compromessi d’ogni tipo e di sconci a oltranza…



GIOCAN TUTTI A TUTTO CAMPO

E A NESSUN LASCIANO SCAMPO


«E avanti a lui tramava tutta Roma» (Piccini, Tosca). «Davanti a lor tremò tutta Pistoja (Ordine Avvocati & Camera Penale)

 

Ma l’errore irrimediabile è certamente stato il definire la giustizia come “potere dello stato” insieme agli altri due: il legislativo e l’esecutivo.

È stato – per fare un esempio – come se la Fiat (quand’era nei suoi cenci) avesse dato potere illimitato e illimitabile a tutti i suoi dirigenti (dipendenti, stipendiati, perciò subalterni d’azienda) di fare qualsiasi cosa “interpretando”, anche a minchia di cane, le direttive della proprietà, e trasformando, perciò, la massa dei mangiasoldi (quanto guadagna Tavares…?) in dittatori a tutto campo.

Se si aggiunge, a questo, il fatto che gli appartenenti alla casta privilegiata di dipendenti pubblici magistrati sono inamovibili, incontestabili, insindacabili e – di fatto – superprotetti e/o super autoprotetti, s’è detto fin troppo.

L’Italia non è una repubblica democratica fondata sul lavoro. E la sovranità non appartiene affatto al popolo, perché il popolo coglione non conta una minchia visto che loro son loro e noi, che li facciamo crescere nell’abbondanza come batteri in coltura, siamo le api operaie che devono solo vivere per obbedire, destinate a defungere appena giunge l’inverno. E senza neppure il diritto di riprodurci. Quello spetta solo a chi ha mezzi e modi per andarseli a comprare, i figli, con uteri in affitto e applausi della platea.

La giustizia non può essere un potere, perché se tale lo si definisce, si consegna, nelle mani dei magistrati, non pochi dei quali, disturbati da «sindrome di dèi e semidèi» (in prima linea Pm e sostituti, ma in seconda anche altre sottocategorie della genìa suddetta), il famoso diritto di vita e di morte delle leggi consuetudinarie romane, prerogativa unica e indiscutibile del pater familias: e io, personalmente, non mi sento affatto figlio del figlio d’arte Coletta, o del (all’apparenza mite) Giuseppe Grieco, o dello scrupoloso Claudio Curreli.

E non posso e non voglio permettere a questi okkupanti della famosa caverna Àpriti Sesamo, il diritto di potermi ridurre in polvere perché sto loro sulle palle.

E quando non sapevano che altro fare, i magistrati si fecero anche un loro sindacato: il sindacato del potere. Si potrà essere più ultronei di così?

La persecuzione giudiziaria blindata che il tribunale di Pistoia mi ha riservato fino dal 1988, è iniziata quando, fidandomi delle parole e degli accordi scritti di particolari personaggetti di Pistoia, mi sono ritrovato coinvolto in un giro di truffa-mega di cui sono stati complici, insieme e coordinatamente, avvocati, notai, magistrati, polizia giudiziaria e quant’altro ruotasse intorno a questo antro di Polifemo, una caverna cosparsa di ossa di sfortunati viaggiatori mangiati dalla nostrana magistratura polifema.

Per il principio polibiano secondo cui la storia si ripete, è arrivato (o tornato: dipende) il tempo di rinfrescare la memoria a tutti, ripartendo da capo.

Queste poche righe sono solo un’introduzione-lampo. A seguire verranno riesumati i capitoli della storia dalla fondazione di Roma alla caduta dei Romoli Augustoli che attualmente imperversano nella città del ladro in cattedrale.

Bon divertimento!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
© LineaLibera Periodico di Area Metropolitana


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