PISTOIA. Sarà mai possibile aprire un dibattito, un confronto senza steccati, ideologismi, demagogia e facile populismo? Possiamo parlare di lavoro, di crisi, di disperazione, di licenziamenti, di regole, diritti e doveri senza che nessuno si senta l’unico portatore della verità? E soprattutto è possibile ascoltarci e provare a comprendere le ragioni dell’altro? Ora è passata la fiducia sul Jobs Act. Da qui ripartiamo e non è affatto semplice.
Capisco che le persone siano stanche, rassegnate, pronte a credere al primo che passa e promette di tutto, indica i “nemici” negli altri, evoca poteri forti che remano contro di lui, accusa chi non è d’accordo di essere vecchio, ancorato ai privilegi.
Mi sembra una storia già vissuta; il “salvatore”, unico al comando che porta in salvo la nave e proprio perché siamo vicini al naufragio non c’è tempo di parlare, confrontarsi, discutere e ascoltare soprattutto chi non la pensa come lui: concertazione? contrattazione? orpelli del Novecento. La democrazia diventa sempre un costo maggiore, un inutile rituale.
Berlusconi aveva proposto di fare votare in parlamento solo i capigruppo sostenendo che non aveva senso farlo fare a tutti i 1000 fra deputati e senatori. La logica è la stessa: diminuire, annullare gli spazi e i tempi del confronto. Ti convoco alle ore 9,00 e alle 10,00 tutto è finito. Al massimo ti ho “di sfuggita” ascoltato, poi non sposto di una virgola quanto ho già deciso. Ed invece la capacità di comprendere le ragioni degli altri è una delle cose più difficili (ma “belle”) che una persona possa fare e che un politico, a maggior ragione se Presidente del Consiglio, non può tralasciare, non può consideralo tempo perso. È un valore della democrazia, è rispetto per gli altri, è dimostrazione di intelligenza e saggezza.
Sul Jobs Act rimango senza parole. A parte il fatto che contiene ben altro che l’art. 18 (demansionamento, controllo elettronico senza limiti e nessuna cancellazione del precariato) ma la cosa grave è che non si discute nel merito, si danno dati falsi, non corretti, fumosi e ambigui e si continua a parlare per slogan e come se le leggi sulla precarietà le avesse fatte il sindacato.
Già dov’era il sindacato, ci domanda Renzi? Dov’era lui, innanzitutto! e dov’erano la Politica ed i Partiti? Questo ci si dovrebbe domandare! Per noi la risposta è semplice, ma non riusciamo a veicolarla sugli organi di stampa e nelle televisioni. Il sindacato, soprattutto la Cgil, era nelle aziende, nelle fabbriche, negli uffici, nei cantieri, nelle piazze! Era a proporre, contrattare, firmare 100 mila accordi di cassa integrazione, di mobilità, per cercare di ridurre il danno, per cercare di dare risposte a quelle lavoratrici, a quei lavoratori sull’orlo del baratro. Era nelle nostre sedi ad ascoltare e a dare servizi che molte volte la pubblica amministrazione non fa più e delega (anche a costo zero) ai patronati. E lo abbiamo fatto molte volte senza che la Politica, i Partiti fossero lì.
E siamo stati accusati di avere fatto troppi scioperi generali, manifestazioni, assemblee, presidi! E ora ci domandano dove eravamo? Eravamo a dire non solo di no (cosa sacrosanta di fronte a certe assurdità) ma, soprattutto, a proporre cambiamenti alle scelte che la politica stava facendo! Abbiamo avanzato proposte concrete per uscire dalla crisi economica e sociale a partire dal Piano del Lavoro fino alle proposte avanzate nell’ultimo congresso. Qualcuno ha avuto il buon senso, la correttezza di volerle discutere con noi? No, nessuno.
L’arroganza del potere, di chi ritiene di avere la verità e le soluzioni in tasca è stata incredibile. Sono anni che fanno “riforme” (parola ormai diventata così noiosa). Riforme che guarda caso restringono i diritti, tagliano i servizi e mai colpiscono i veri sprechi, le vere “caste”, chi ha davvero le maggiori responsabilità di questa crisi.
Vogliamo accusare il Sindacato di essere il responsabile della crisi economica? Della burocrazia? Delle 100 mila leggi inutili e contraddittorie? Della mancanza di una politica industriale? Dei costi impropri della politica? Della corruzione, della criminalità, dell’evasione fiscale (oltre 200 mila euro all’anno) e così via? Siamo noi, il sindacato, l’unico ostacolo che impedisce alla Politica, a Renzi di fare uscire il paese dalla crisi economica, sociale e morale? Ma via…
Credo che questa sia un’altra delle grandi bufale che la politica in difficoltà dice e ripete all’infinito, come un mantra, così che poi sembri quasi vera. Buttiamo su altri la responsabilità dei nostri errori ed il gioco è fatto. Promettiamo un futuro roseo, ogni mese una riforma, datemi mille giorni è vi farò vedere…
Non voglio dire con questo che anche il Sindacato non abbia commesso errori. Certo ne abbiamo fatti! A partire dai ritardi nel capire che il mondo del lavoro stava cambiando. Dalla sottovalutazione che dovevamo intervenire con più forza nella riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni e che anche noi dovevamo cambiare il nostro modo di essere organizzati e dare maggiore attenzione al nuovo che avanzava.
Ma pur avendo commesso errori o sottovalutazioni almeno ci abbiamo provato! Ci abbiamo messo la faccia! Siamo stati in prima linea! Abbiamo accolto, ascoltato, seguito, difeso milioni di lavoratrici, lavoratori anche precari. Non a caso, da anni in CGIL abbiamo una categoria apposita, “Nidil”, che affronta queste tematiche e organizza questi lavoratori precari.
E resto allibito dalla spregiudicatezza, dalle falsità, dalla demagogia che Renzi esprime ogni volta che parla di fronte ai mezzi di informazione. L’ho ascoltato in questi ultimi giorni: “a decidere sulla liceità di un licenziamento non può essere un giudice ma l’imprenditore”.
Di fronte ad una così palese assurdità si sarebbero dovuti sollevare le “masse”, gli intellettuali, i politici di sinistra…come posso dire? la parte sana del nostro paese e invece niente, niente, se non noi, se non la Cgil.
Il problema è che Renzi ha una capacità di imbonire, di eludere le domande fastidiose, di riportare il discorso sempre dove lui vuole che è incredibile. Potrebbe vendere frigoriferi e ghiaccio agli eschimesi. Ma che c’entra paragonare il diritto (sacrosanto) alla maternità con l’art. 18? Allargare i diritti? Eccome! Lo abbiamo sempre chiesto, inascoltati.
E ora arriva un politico, segretario del più grande partito di centro sinistra, presidente del consiglio che invece di allargare i diritti a tutti per prima cosa, li toglie a qualcuno, promettendo (badate bene…avere tolto è una certezza, la promessa è solo una promessa… di scritto non c’è niente, a partire dai soldi…) che poi a chi sarà licenziato si daranno gli ammortizzatori sociali, si farà formazione e, dopo un anno, “lo Stato gli darà un nuovo lavoro”. Devo dire che a Babbo natale ho smesso di credere in tenera età… Allora, facciamo così, per essere più credibili perché non ribaltiamo la tempistica? Prima facciamo questo, ammortizzatori sufficienti per tutti, formazione certa ed organizzata e poi, quando siamo certi che queste cose ci sono, azzeriamo anche l’art. 18.
E poi voglio dire ancora una cosa, con il rischio di passare per nostalgico, vecchio e legato ai riti del Novecento, impedire di licenziare un lavoratore senza che esista una “giusta causa”, un giusto motivo, a me sembra non solo “di sinistra” ma una cosa così ovvia, che definirei quasi banale. Significa affermare una norma di civiltà che tutti dovrebbero accettare, capire e difendere, soprattutto se “di sinistra”. Come si fa a non capire che, come già succede nelle aziende (non in tutte ovviamente) sotto i 15 dipendenti, dove diamo la possibilità “assoluta” a un datore di lavoro di poter licenziare “perché antipatico… perché non disposto a sorridermi… perché donna… perché iscritto al sindacato”, o qualunque altro motivo che possa valere solo per lui.
Se sono di sinistra, se sono una persona ragionevole e rispettosa dell’altro e della società dovrei invece pormi la domanda di come l’art. 18, che era ed è norma di civiltà, rispetto, democrazia, possa essere esteso a prescindere dal numero di dipendenti di un’azienda. Perché se non c’è un motivo, giusto e riconosciuto tu datore di lavoro non mi puoi licenziare! Punto!
Ma è mai possibile che oggi nel nostro paese, fra la gente comune, fra la gente di sinistra questo ormai sembri una cosa vecchia e senza significato? Due altre osservazioni: la giusta causa la stabilisce “un giudice”… scandalo! Già! E chi la deve decidere se non una parte terza? Non deve essere la magistratura? Mah, parliamone. Ma a me sembra un falso problema. Ci vorrà pure qualcuno che stabilisca chi fra due “contendenti” ha ragione.
Altro aspetto “la deterrenza”. Nel nostro paese i reintegri nel posto di lavoro perché non esisteva una “giusta causa” (per cui eri stato licenziato ingiustamente, senza nessun valido motivo) sono circa 3 mila l’anno su quasi 8 milioni di lavoratori interessati all’art. 18. Mi sembra davvero un “non problema”. Mi si risponde che questo accade perché l’art. 18 funziona da deterrente. Eureka! Posso fare un piccolo paragone? Se rispettiamo il limite di velocità è per due motivi: il primo (nobile), per senso civico, il secondo è perché se non lo rispettiamo rischiamo una salata sanzione, una multa, il ritiro della patente.
E così vale per tutte le leggi che confidano, per il loro rispetto, nel senso civico dei cittadini, ma al tempo stesso confidano nelle sanzioni che esse contengono (il famoso “deterrente”). E se licenzi (licenziavi…) senza un giusto motivo, senza giusto motivo! il lavoratore che hai ingiustamente licenziato ritorna (ritornava) a lavoro…dov’è lo scandalo? Davvero, per me è incomprensibile.
Ma poi, da anni l’art 18 è stato parzialmente modificato, esistono oltre 40 tipologie di contratti che permettono di assumere a tempo determinato, per un giorno, per chiamata, senza bisogno di motivazioni e con la possibilità di mandarti a casa in ogni momento. Ma di cosa stiamo parlando? Ma chi l’ha creata la precarietà? Se fosse stato l’art.18 a impedire le assunzioni perché le aziende da 1 a 10 dipendenti (per cui non vicine alla soglia dei 15) non hanno mai assunto in questi ultimi anni? (anzi hanno licenziato)?
La risposta è drammaticamente semplice: perché non c’è lavoro! Perché c’è una burocrazia infinita, perché c’è sono la corruzione e la criminalità, perché non ci sono infrastrutture decenti, perché non c’è una giustizia “giusta” e veloce, perché non c’è una politica industriale degna di tale nome, perché ci sono migliaia di leggi che regolano le stesse cose e delle volte in contraddizione fra di loro, perché ci sono oltre 8 mila comuni che non si mettono d’accordo su niente disorientando cittadini e imprese. Ecco perché non si è assunto…e non certo per l’art. 18.
Ma tanto è tutto inutile….ormai questo è un paese senza memoria, che vive di promesse, illusioni e si affida, per disperazione, al primo che dice “ghe pensi mi”.
Verrebbe da dire, presi dallo sconforto che la Patagonia è forse la nostra unica soluzione… Ma voglio dire che proprio no! Non andremo in Patagonia ma andremo il 25 ottobre a Roma e fare sentire la nostra voce, la nostra rabbia, urlare, di nuovo e con più forza, le nostre proposte, fare sentire che ci siamo, che abbiamo ancora a cuore il futuro del nostro paese e che continuiamo a credere nel confronto, nella discussione, nella partecipazione. E che crediamo che il Sindacato, con tutti i suoi limiti, ritardi, errori è, ormai, l’unica organizzazione di rappresentanza vera in cui si discute, si elabora, si partecipa e ci si ascolta cercando di dare risposte concrete a chi ha realmente bisogno.
La demagogia, le facili promesse, dal milione di posti di lavoro in su…le lasciamo ad altri… noi siamo presenti e trovabili in ogni regione, in ogni provincia, in ogni comune… nelle nostre sedi sempre aperte e piene di bella gente!
Andrea Brachi
…….” L’ho ascoltato in questi ultimi giorni: “a decidere sulla liceità di un licenziamento non può essere un giudice ma l’imprenditore”.
Di fronte ad una così palese assurdità si sarebbero dovuti sollevare le “masse”, gli intellettuali, i politici di sinistra…come posso dire? la parte sana del nostro paese e invece niente, niente, se non noi, se non la Cgil.”……..
Vi è mai venuto il dubbio che “la parte sana del nostro paese” voi non la rappresentiate per nulla o solo in minima parte?
In quanto agli intellettuali, beh, leggetevi “Intellettuali sotto due bandiere” di Nino Tripodi. Forse comincerete a comprendere……….. Forse.
forse “alcuni di noi” possono non essere la “parte sana del paese”…ne potremo parlare, lasciando a casa slogan e frasi fatte…ma pensare che gli olre 5 milioni di iscritti alla CGIL (fra pensionati ed attivi) non lo siano…mi sembra leggermente ingeneroso. Avevo provato a chiedere di discutere nel merito delle questioni. Vedo che è difficile ed ognuno pensa di rispondere al “nemico”…così non si va da nessuna parte. E sugli intellettuali… non metto in dubbio che ci siano intellettuali attenti e capaci, volevo solo dire che, dal dibattito, sui quotidiani e tv mi sono sembrati alquanto assenti. Ma, almeno, ci lasci la speranza che, “comprenderemo…forse”…grazie per la speranza….per fortuna ci sono persone come te che hanno già compreso tutto…io non ho questa presunzione…ma provo a continuare a capire, a confrontarmi, a trovare soluzioni per chi cerco di rappresentare.
Quanto belle parole in questo intervento di Andrea Brachi.
Se le persone, e soprattutto i lavoratori, non avessero un po’ di memoria storica di quanto è successo negli ultimi venti anni (in verità si potrebbe anche risalire più indietro) probabilmente scroscerebbero gli applausi.
Peccato però che la realtà, a prescindere dalla qualità della memoria collettiva, ci descrive uno scenario completamente diverso da quello rappresentato dal Brachi; all’interno del quale tutto quanto è accaduto (ed è accaduto il peggio del peggio) non è stato originato da un ”destino cinico e baro” ma è stato invece il frutto di scelte politiche e sindacali (un binomio indissolubile nell’ultimo periodo) che hanno privilegiato la concertazione con la controparte come strumento di difesa dei diritti dei lavoratori.
Un sindacato come la CGIL che da anni non mette in campo le proprie ragioni, oltretutto sorrette dalla forza dei “numeri, in una propria e autonoma piattaforma rivendicativa sulla quale chiamare a discutere la controparte e che, al contrario, vi rinuncia privilegiando accordi di vertice basati sulle ragioni dell’avversario (e dunque con un compromesso sempre a perdere a danno dei lavoratori), non può tentare lo scaricabarile e addossare ad altri, o comunque ad altri fattori, l’attuale catastrofico stato di cose.
La politica non è diventata così arrogante con Renzi. Renzi sta soltanto portando a termine (peraltro con una tracotante spavalderia e una alterigia degna di un piccolo Bonaparte) quell’opera di distruzione dei diritti dei lavoratori, intesi nel più ampio senso del termine, che da anni è stata portata avanti da tutti i governi, di qualunque colore e con qualunque composizione politica. A partire dalla madre di tutte le riforme sul lavoro, la famigerata legge Treu, varata dal primo governo Prodi e concertata con le parti sociali.
Organizzare una volta l’anno uno sciopericchio di mezza giornata, o anche meno, è il massimo della mobilitazione che ultimamente la CGIL ha messo in campo contro la falcidia di tutti quei diritti normativi, economici, sociali, che i lavoratori avevano ottenuto con straordinari sacrifici negli anni delle lotte a cavallo degli anni ’70. Non è certo con un rituale corteo al sabato pomeriggio, come quello organizzato per il 25 ottobre, che si può impensierire Renzi & C.
Più in generale si può dire che la politica della concertazione sindacale portata avanti anche dalla CGIL, in estrema sintesi, ha distrutto e disperso negli anni quella coscienza di classe che costituiva il patrimonio genetico dei lavoratori.
Le lacrime di coccodrillo che oggi vengono versate dalle burocrazie sindacali non fanno altro che aggiungere al danno causato dai loro comportamenti anche la beffa di una loro invocata deresponsabilizzazione.
Mario Capecchi
Bisognerebbe sempre leggere con attenzione quello che l’altro scrive. Nel mio intervento ho anche scritto: “Non voglio dire con questo che anche il Sindacato non abbia commesso errori, Certo ne abbiamo fatti….” per cui possiamo anche partire da lì e fare unì’attenta analisi sugli errori del Sindacato o dei Sindacati (perchè permettimi qualche differenza c’è anche fra di noi). Sei scioperi generali negli ultimi anni, da soli, come CGIL…manifestazioni, presidi, assemblee…scioperi territoriali, aziendali… possiamo anche ricostruire la storia…pochi? troppi? inutili? ne possiamo discutere, anche di questo…ma dire che la CGIL non c’era e non ha provato, è ingeneroso. Siamo stati gli unici o fra i pochissimi a provare a fermare quello che stava accadendo. E credo che il punto oggi fondamentale sia come fermare questa deriva autoritaria che la politica ha messo in campo. Un’ultima cosa: di porposte concrete, di piattaforme rivendicative ne abbiamo prodotte e non poche a partire dal “Piano del Lavoro” (se non lo hai letto fallo) alle ultime proposte scaturite dal nostro congresso. E non abbiamo sempre fimato di tutto. Dalla FIAT ad alcuni contratti nazionali che non hanno visto la nostra firma. Ed il 25 ottobre è pur sempre una manifestazione di protesta e di lotta. Perchè sottovalutarla? centinaia di migliaia di persone saranno a Roma a protestare anche con differenze di idee fra di loro. Un consiglio: vieni anche tu!
Caro Andrea, come sai non sono un sindacalista e non posso addentrarmi troppo nelle specifico. Ho però molti dubbi sulla democraticità delle norme sulla rappresentanza sindacale.
La mia critica comunque non è rivolta al sindacato in quanto tale, ovviamente, ma è tutta basata sulle forme di lotta che il sindacato – intendo qui la CGIL – ha via via messo in atto.
Che giorno dopo giorno, anno dopo anno, siano state smantellate e sepolte tutte le conquiste ottenute con le dure lotte operaie degli anni 60-70 (le cronache di questi giorni ci dicono che l’opera è ancora in corso) mi sembra un dato di fatto incontrovertibile. Evidentemente non si tratta di singoli errori che ovviamente fanno parte dell’attività umana, ma di una sbagliata impostazione stretegica di fondo, che mi pare molto più grave.
Disperdere in mille rivoli le migliaia di vertenze dei lavoratori aperte, anzichè unificarle in un’unica vertenza generale, credo sia stata la madre di tutti gli errori, che ha causato mille sconfitte e scoraggiato e/o disperso le immense potenzialità che potevano essere messe in campo per vincere o quantomeno per tentare di farlo.
Io penso, da comunista quale sono, che agli attacchi micidiali che con ogni mezzo e in ogni forma possibile vengono portati alla classe lavoratrice dal padronato e dai vari governi loro amici (attraverso la repressione delle lotte, anche fisica), non si possa rispondere con i fiori in bocca. Alla radicalità di quegli attacchi occorre rispondere con un’altrettanta radicalità nelle azioni da compiere.
Occorre cambiare fin da subito l’atteggiamento troppo morbido finora tenuto e rimettere in moto quel conflitto sociale senza il quale sarà impossibile ottenere qualche cosa di positivo.
Se non ora, quando?
Mario Capecchi