PISTOIA. È iniziato due volte, Butterfly Corner. E nonostante dopo la prima, interrotta dal regista solo dopo pochi secondi, in molti, tra i pochissimi fortunati, si è pensato al peggio, la seconda, che è stata quella buona, è stata meravigliosa.
Per una serie innumerevole di cose che proviamo ad elencare. Ad iniziare da Bettina Bernardi, Noemi Biancotti, Virginia Cervelli Montel e Linda Pierucci, le quattro danzatrici, che diverranno danzattrtici, ne siamo certi, sono quattro giovanissime meraviglie, che riacquistano i propri recenti connotati anagrafici solo a recitazione terminata: fino a quando sono in ballo, è proprio il caso di dire, sono vecchie e rodate macchine da guerra, che non battono ciglio e che hanno imparato così bene dal loro maestro a metabolizzare ritmo, danza, gestualità e armonia, oltre che amicizia, che riescono a modulare e trasformare in musica anche i sospironi scatenati dalla stanchezza.
Al lato del palco del teatro Manzoni, ridotto nella sua estensione scenica per fare posto a tre file di seggioline sulle quali si sono accomodati i circa 60 spettatori, con la platea alla spalle deserta e buia, Michele Rabbia, un batterista, percussionista, ballerino jazz che ha accompagnato e istigato, con i suoi rumors, la danza delle giovani protagoniste, tirando fuori dal proprio cilindro ritmico, una serie incredibile di vettovaglie sonore, un’infinità di suggerimenti emotivi e scenici, tutti debitamente procuratigli dalla ditta Ufip di Luigi Tronci, che si è occupata e preoccupata, nella figura del figlio Damiano, di procurare al talentuoso jazz man l’occorrente per questa inconsueta esibizione.
Sull’ultima seggiolina della prima fila, proprio davanti al mix, lui, il maestro, Virgilio Sieni, un talento incommensurabile della danza intesa nei suoi aspetti primari e avveniristici, con una ricerca tassonomica, febbrile, maniacale, dell’armonia scomposta, delle contaminazioni artistiche che la danza, la sua danza, gode e soffre con la pittura, la cinematografia, i giochi di prestigio, lo sport, la compenetrazione, la vita e la morte, l’amore e l’amicizia. La pietà.
Certo, noi che abbiamo avuto la fortuna di aver assistito all’ultima prova della Dolce Vita, lo spettacolo che Sieni sta portando in giro per l’Italia e che ha debuttato, la scorsa settimana, al teatro Argentina di Roma, siamo stati decisamente svantaggiati rispetto ai neofiti, perché si è capito immediatamente che l’umore era parecchio simile.
Perché anche le quattro giovani future danzatrici hanno già perfettamente assimilato la filosofia del loro guru, rovesciando sul palco un’incredibile sequenza di informazioni. Perché le quattro Cerbiatte, animate da una carica esplosiva degna delle migliori tradizioni terroristiche, hanno ripassato, ritmate da Michele Rabbia, l’antologia degli spettacoli in prima serata in onda sulle tre reti Rai e su quelle Mediaset: lo sport, nuoto, judo e pugilato; il cinema d’autore e gli spaghetti western, il mondo degli animali illustrato da Quark, un concerto rock e un po’ di pubblicità, quella trasversale e che assembla, fino a monopolizzarli, tutti i canali televisivi.
Il tutto condito da una forza ginnica e fisica incredibili, una grazie e un’innocenza ben oltre le poche primavere alle spalle e una ricerca, criptica, dell’offerta: hanno animato il primo step in slip con delle magliette di cotone con scollo a v di quattro colori, verde, marrone, nocciola e viola e hanno affrontato il secondo con pantacollant rossi e magliettina bianca, indumenti con i quali, nelle rispettive case, vanno abitualmente a dormire.
Una violenza e una tenerezza espressive, i due tempi offerti dalle quattro giovanissime ballerine, che hanno nuovamente rilanciato in orbita per l’ennesima volta Virgilio Sieni, un portento cosmopolita della danza intesa nel suo aspetto meno inflazionato e più completo: la caotica, rumorosa, impeccabile e anarcoide disciplina.
Lo spettacolo, come dicevamo, ha avuto una falsa partenza; dopo pochissimi secondi dall’inizio infatti, il regista si è alzato dalla propria postazione per redarguire, con eccessiva veemenza, una maschera che, anonimamente, stava percorrendo il lato più oscuro e inflazionato del bordo palco, per andare a dare disposizioni ad un vigile del fuoco.
Se fossimo vendicativi, avremo potuto iniziare questa recensione da questo dato così poco consono all’oggetto artistico e culturale, ma sensibile e significativo, un innocentissimo contrattempo assurdamente ingigantito e sottolineato con poca eleganza che ha indispettito non solo noi, tra il pubblico. Per fortuna, quel giornalismo non ci appartiene, perché inutile, riottoso, desueto.