SANT’ANASTASIO, UN POZZO E LA SUA STORIA

Via Sant'Anastasio
Via Sant’Anastasio

PISTOIA. Parlare di misteri o segreti di Pistoia sembra eccessivo: ma quel pozzo, incuneato sul retro dei corpi di fabbrica degli edifici affacciati sulla Sala, eccita l’immaginazione e la lascia smarrita, tra storie millenarie e arcane suggestioni. Il suono delle campane, vero e proprio patrimonio Unesco cittadino, che all’unisono o leggermente sfasate scandiscono, a Pistoia, il fluire della vita e del tempo, amplifica il fascino antico di un manufatto languidamente custodito in un centro storico ancora in equilibrio con la sua preziosa storia.

Le forme architettoniche del puteale sono osservabili attraverso un angusto pertugio di una saletta interna della pasticceria Le Blanc, in piazza della Sala. Appartiene con ogni probabilità a quella che un tempo era la canonica della chiesa di Sant’Anastasio, i cui resti marmorei non sfuggono all’osservatore attento che scende per l’omonima via.

Un nome abbastanza anomalo per i pistoiesi di oggi: Anastasio, “il risorto”, il martire cristiano dell’est venerato dai Longobardi, quel popolo i cui geni non sarebbe poi difficile ritrovare, tramandati, nei lineamenti di alcuni uomini e donne della piana, nei loro occhi (chiari) e nei loro capelli (biondi).

Il pertugio da cui si può sbirciare il pozzo
Il pertugio da cui si può sbirciare il pozzo

La capitale del regno longobardo era a Pavia mentre a Pistoia si trovava la sede di un funzionario regio, il gastaldo, la cui corte era proprio sulla Sala. Nei centri urbani militarmente rilevanti erano invece insediati il duca e le farae, i gruppi di famiglie associate in chiave politica e militare, che a lui rispondevano: pare che da noi siano sopravvissute alla stessa popolazione germanica, divenendo una costante in tutte le epoche. Ancora oggi le famiglie con le redini del potere, economico e politico, appartengono rigorosamente a una ristretta élite di pistoiesi e non.

Il principale documento relativo alla chiesa e alla parrocchia di Sant’Anastasio, soppressa nel 1779 dal Vescovo Ippoliti – a dimostrazione che la stagione delle soppressioni non coincise unicamente con quella del Vescovo giansenista Scipione De’ Ricci –, risulta una relazione a margine della Visita Apostolica del 1552. Una visita effettuata per verificare l’effettiva attuazione delle disposizioni conciliari da parte delle chiese locali.

Risulta che fosse la parrocchia della parte più commerciale della città, in quanto i confini non si estendevano al di fuori del nucleo urbano, e quindi le principali attività, da non confondersi con la movida di oggi, erano proprio quelle artigianali e commerciali. In quella che è oggi via Cavour correva, evidentemente a ridosso di una qualche forma di struttura muraria (pensare che l’epiteto della chiesa di San Giovanni è appunto Fuorcivitas), il fosso che poi diventerà la gora di Gora o gora dell’Ombroncello.

Parte di questo canale, affondato e lastricato nel 1293, era visibile, fino a prima della ripavimentazione del centro, in un angolo sul Globo, coperto da una lastra di plexiglass, ma questa è già un’altra storia.

Il pozzo al di là della grata del pertugio
Il pozzo al di là della grata del pertugio

Il pozzo della canonica di Sant’Anastasio non è mai menzionato ma non è difficile postulare che abbia costituito il fulcro della vita materiale della comunità, visto che l’acqua è la risorsa imprescindibile dell’esistenza umana. Ma com’era e cosa rimane di una vita così lontana, dove tutte le attività, scandite unicamente dai movimenti del sole, si svolgevano tra l’alba e l’imbrunire?

Sicuramente è impossibile per noi, oggigiorno, anche solo immaginare un mondo in cui la doccia non esisteva e in cui anche il bagno, con sciacquone e servizi annessi, doveva ancora esser concepito. Nonostante che la situazione odierna, sulla Sala, quanto a rete fognaria, fosse settiche, tricamerali, Imhoff e scarico dei liquami, non sia poi così diversa da allora: spesso, sotto i tombini, si notano fogli di cartone per bloccare la fuoriuscita di cattivi odori…

Il puteale evoca anche gli elementi fondativi della vita biologica, il bere e il mangiare, resi possibili dalla presenza dell’acqua e del cibo, cioè da fonti, sorgenti, fiumi, pozzi e da superfici più o meno vaste di terra fertile.

... la delusione finale
… la delusione finale

Ancora nell’età moderna da Capostrada fino al largo Molinuzzo, prima dell’ingrasso in piazza Mazzini, si dislocavano ben undici molini perché le città il necessario non lo ricevevano da territori lontani: mentre nella nostra epoca il numero di paesi esportatori di cereali è inferiore a quello dei paesi esportatori di petrolio, allora la sovranità alimentare era il fondamento della società.

L’equilibrio millenario con la campagna si è rotto solo nell’Ottocento e probabilmente passerà ancora molto tempo prima che si possa riscoprire che la città è un ecosistema, innanzitutto perché gli uomini non hanno mai cessato di essere natura.

Così appare il pozzo di Sant’ Anastasio, tacito e in ombra, ormai immemore del brulichio, della ressa scomposta, dei pettegolezzi, delle sfarzose vesti e degli sguardi ammiccanti…

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