C’È SOLO LA PAROLA “PRIMA DEL SILENZIO”

Leo Gullotta e Eugenio Franceschini
Leo Gullotta e Eugenio Franceschini

PISTOIA. Il pubblico del Manzoni, ieri sera, di smettere di applaudire non ne aveva alcuna intenzione. Non lo avremmo detto. Perché Prima del silenzio non arriva immediatamente al cuore.

Leo Gullotta, a teatro, qui a Pistoia non l’ha mai visto nessuno e poi lui è cinema, televisione, Carosello, la voce, riconoscibilissima di alcuni illustri doppiaggi, le parodie televisive del Bagaglino e anche Eugenio Franceschini, l’alter ego, la sua immagine riflessa, l’amante, con i remi in mano sullo schienale del divano rosso, ci mette un attimo, prima di prendere il largo.

Ma è sufficiente liberarsi dai condizionamenti e confidare nell’unica grande verità, quella della parola, per entrare nell’amletico personaggio senza nome di Giuseppe Patroni Griffi, che questa commedia, che è un dramma, la scrive più di trent’anni fa, ma nonostante tutto continua a restare sospesa, attuale, inesorabile, surfando sulla cresta dell’onda, e piombando con inimmaginabile violenza sulle platee, che schiaffeggiate da un’innegabile realtà, non possono che applaudire rumorosamente per svariati minuti.

E Fabio Grossi, il regista, lo sa che la profondità di Patroni Griffi è così invasiva che gli attori diventano una variante accidentale, in questo epilogo esistenziale, dove l’Innominato che non è manzoniano, si libera, finalmente, da ogni orpello che gli ha oscurato e appesantito la vita, come la moglie (Paola Gassman), il maggiordomo (Sergio Mascherpa), uno dei due figli (Andrea Giuliano), in sala grazie agli effetti speciali battezzati, al Manzoni, da Alessandro Gassman e prodotti, nell’occasione, da Luca Scarzella, prima di sprofondare nella certificazione del fallimento, salvato, in extremis, dalla parola, che plana rovinosamente sulla sua vita.

È l’aver taciuto, il non aver parlato, il non essere ricorsi alle magie della parola, che ha generato fraintesi, dolori, oppressioni, castrazioni, condizionati morbosamente dalle convenzioni che tarpano le ali, smorzano i sorrisi, inoculano tristezza e rassegnazione.

E sull’onda della responsabilizzazione del silenzio che si scontrano due generazioni, sovrapponendo, in questa operazione di testimonianza, paternità e guida. Che rapporto c’è tra Leo e Eugenio, perché sono insieme, dove sono, dove si sono conosciuti, quali sono gli accordi che li tengono vicini? Il vecchio Leo, che ha taciuto per troppo tempo, si fida ormai solo della parola e cerca di immortalare quell’incontro fortuito arricchendolo e consacrandolo con il verbo. Eugenio invece (23 anni, veronese, un giovanissimo predestinato allo spettacolo) è solo un ragazzo che ha deciso di rinunciare alla serenità e alle agiatezze della famiglia per correre la propria esistenza lungo i margini delle autostrade sulle quali fa autostop e nelle notti sotto le stelle dentro un sacco a pelo nelle quali teme puntualmente il peggio fino al sorgere del sole del giorno successivo.

Un incontro pasoliniano, quello tra Leo e Eugenio, che mette a nudo, spolverandoli perfettamente, tutti gli scheletri che ognuno di noi custodisce, con falsa indifferenza, nei propri armadi, un’assicurazione e una rassicurazione che ci inducono a rimandare sistematicamente e puntualmente la nostra fede, pensando che il silenzio debba ancora venire.

Lo spettacolo verrà replicato stasera, sabato, alle 21 e domani, domenica, alle 16. Sempre oggi, sabato, alle 17:30, Leo Gullotta e Eugenio Franceschini incontreranno il pubblico alla Galleria d’arte Vannucci, a Piuvica.

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