LAMPORECCHIO. Una musicista straordinaria, un lare domestico prezioso, una donna senza tempo, o tutto quanto immerso e imbevuto nel teatro. Monica Guerritore è, senza timore di essere contraddetti, una delle attrici più importanti di questo Paese (la P maiuscola è per il teatro) e anche ieri sera, a Lamporecchio, con Qualcosa rimane, di Donald Margulies, ha dato ancora una volta un saggio della sua classe artistica che è soprattutto figlia di una bellezza che non tende a svanire, un’eleganza chimica, una voce al limite del peccaminoso, una deambulazione da navigata modella e un’intensità emotiva da antologia.
Al suo fianco, da lei fortemente voluta per questa nuova scommessa come regista, Alice Spisa, un’altra della quale, oltre ai riconoscimenti già tributatile nella sua folgorante carriera, se ne sentirà per forza di cose parlare.
In un contesto scenico e scenografico per nulla semplice, banale, dove la stanca e disillusa adrenalina di Ruth Steiner deva rigorosamente incontrarsi e scontrarsi con il rampantismo sfrenato di una delle poche sue giovani allieve, Lisa Morrison, disposta praticamente a tutto pur di impossessarsi della spiritualità della sua docente.
Un equilibrio precario, ricercato all’inizio con ansia e spasmo dalla giovane discente, maniacalmente attenta ad ogni piccolo cenno della sua professoressa, un atteggiamento di falsa modestia che si rivela, dopo la prima pubblicazione di racconti e la prima incoraggiante recensione, in tutto il suo saprofitismo, fino allo scempio di sottrarre all’intimità di una confessione epocale il materiale per il suo primo romanzo.
Un continuo andirivieni emotivo, con lo scettro e la padronanza della scena sistematicamente rimbalzati da una protagonista all’altra, una palla infuocata che le due protagoniste, invece che temere di bruciarsi a stringere tra le mani, desiderano sfidarne i principi della fisica, dimostrando che il fuoco del contenuto della trama non sia poi così caldo.
Due percorsi inversamente proporzionali, quelli della Guerritore e della Spisa, che intrecciano e inanellano due generazioni a confronto: quella delle rivoluzioni fallite con la successiva, dove pur di non fallire gli artefici sono disposti a sottoscrivere qualsiasi compromesso, fino a violare le deontologia umana, anziché professionale.
Un complimento a parte merita Andrea Duilio Sorbera, direttore dell’allestimento, che ha saputo mettere in scena un quadro minimalmente indispensabile, nel quale le due mattatrici hanno potuto allontanarsi e avvicinarsi con estrema elasticità, sfiorando, in più di un’occasione, ma sorvolandolo puntualmente, il limite peccaminoso del piacere. Una navigata signora del teatro e una giovane aspirante ad ereditarne gli onori: la chimica del possibilismo funziona spesso.
Con Monica Guerritore, quasi sempre.