RISCOPRIRE IL “DESIDERIO DI ESSERE” NELL’IMPEGNO SOCIALE E POLITICO

Panorama di Pistoia
Panorama di Pistoia

PISTOIA. “Non abbiamo bisogno dei corvi che attendono di nutrirsi di chi è a terra, ma del pellicano che si squarcia il petto per saziare di se stesso i suoi piccoli”.

Questa citazione, rubata a Enrico Solmi, vescovo della mia città, Parma, mi ronza in testa da ieri, da quando ho avuto la sostanziale certezza che tutto quello che ho “sospettato” in quest’ultimo anno di ripresa di un impegno politico, un po’ più attivo, a Pistoia, fosse terribilmente vero.

Solmi ha pronunciato quelle parole di fronte ai rappresentanti delle forze politiche e sociali interrogandosi sul senso della “decadenza” di un territorio.

Un territorio decade non solo se cala il Pil o se si desertificano le attività produttive, decade anche e soprattutto, se si allentano i legami solidali di una comunità o, ancora più grave, se questi legami non sono autentici, ma drogati dall’utilitarismo e da una complice omertà che annienta la partecipazione autentica.

Una condizione che crea iniquità ed esclusione, accresce le disuguaglianze, frustra le energie più vive, si pone orizzonti a breve termine.

C’è poco da dire, ma almeno un parte di politica e della società, a Pistoia, funziona così. Le vicende legate alle prossime elezioni regionali, che si svilupperanno tristemente anche questa sera, ne sono una dimostrazione.

Ma non è il tempo del lamento. È il tempo di guardarsi dentro e di andare alle ragioni di fondo che spingono all’impegno sociale e politico.

Di fronte al tempo della decadenza e delle passioni tristi occorre uno scatto di orgoglio e di gratuità. Se i campi che si sono frequentati fino ad ora sono così aridi da non permettere di raccogliere i frutti della semina, occorre sperimentarne, costruirne di nuovi.

Arriveranno nuove sfide, nuove finestre di opportunità.

Quello che va riscoperto è un tempo come portatore di speranza.

È un’immagine che spesso associamo alle lotte sindacali degli anni settanta, ma anche a stagioni a noi più vicine come quelle dei forum sociali europei e mondiali e alla costruzione di un nuovo mondo possibile. Un’immagine che oggi la crisi globale, economica, sociale, ambientale, relazionale, democratica sembra aver frantumato.

Anche a Pistoia.

E allora, di fronte al deserto di una crisi di idee, relazioni, etica, prospettive, quali alternative possiamo costruire?

Può sembrare velleitario, ma il primo passo è riscoprire il desiderio, la felicità nell’impegno sociale e politico. Quel sentimento che Pierre Bordieu, definiva “desiderio di essere”.

Dobbiamo, insomma, uscire dall’esilio. Un esilio che non è semplicemente un concetto territoriale, ma la perdita di quell’identità relazionale che ci separa dal tempo e dallo spazio e, insieme, dalle autentiche relazioni, nelle quali sono compresi anche i luoghi della memoria e del futuro.

Se riprendiamo le parole d’ordine del movimento che si è battuto per una globalizzazione diversa, ritroviamo un filo complesso che può guidarci anche localmente a riscoprire temi come: la riconversione ambientale, il superamento del dumping sociale e della cultura del profitto a breve termine, anche nel fare impresa, una cultura di pace, disarmo, inclusione; acqua, cibo e beni comuni, partecipazione e democrazia, sapere condiviso e responsabilità sociale territoriale, cultura della legalità e della trasparenza, e così via.

Perché tutto ciò non sia solo un canto illusorio da “anime belle”, non possiamo fermarci agli slogan, ma occorre passare all’azione.

Come ha rilevato l’economista Leonardo Becchetti “una delle percezioni dei cittadini della società globale è quella di essere sempre meno capaci di incidere sui processi che decidono i destini dei popoli”.

Cominciamo da uno scatto d’orgoglio. Ad essere consapevoli che “non tutto è già scritto, non tutto è già deciso, al di sopra di noi”.

Riscopriremo la felicità nel fare politica, nell’impegno contro la decadenza di un territorio.

Non siamo alberi che si sradicano alla prima, anche forte, tempesta di vento.

Ma pellicani/gabbiani che sanno volare. Da soli e insieme.

Forse però, per troppo tempo, anche tra l’Ombrone e la Brana, lo abbiamo davvero dimenticato.

[*] – Lettore

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