A CINQUANTA ANNI DAL COLPO DI STATO IN CILE

Ieri pomeriggio una cerimonia di commemorazione promossa dalla federazione provinciale del Partito della Rifondazione Comunista

Bandiere rosse in via Allende

PISTOIA. Ieri pomeriggio la federazione provinciale del Partito della Rifondazione Comunista con il segretario Ivano Bechini si è ritrovato in via Salvator Allende a Pistoia per deporre un omaggio floreale alla memoria del presidente Allende e dei martiri della via cilena al socialismo.

Nell’occasione il segretario provinciale ha tenuto un intervento di commemorazione a cinquanta anni dal colpo di Stato in Cile avvenuto l’11 settembre 1973.
Questo il testo integrale dell’intervento:

NON DIMENTICHIAMO

Ogni generazione ha i propri miti e sicuramente la resistenza del popolo cileno insieme a quella del Vietnam e dell’I.R.A. in Irlanda e dei Palestinesi, appartiene ai miti della mia generazione. Molti di quella generazione hanno iniziato a occuparsi di politica partendo proprio dal tremendo effetto del golpe cileno.
Ogni scelta di partecipazione e impegno politico a sinistra trae impulso da un momento di indignazione, vuoi contro qualche palese ingiustizia, vuoi contro la guerra o a favore degli emarginati, vuoi in difesa dei migranti o dell’ambiente, vuoi nei confronti di palesi ingiustizie socioeconomiche o di diritti calpestati.

Solo dopo si pensa a cause ed effetti, si fa analisi, si cercano soluzioni. Ma se manca la miccia dell’indignazione la politica resta qualcosa di freddo e concettuale. E credo che il golpe dell’11 settembre di cinquant’anni fa abbia fatto avvicinare molti giovani alla politica, effetto collaterale di certo non previsto dai golpisti e dai loro mandanti
Era il settembre del 1973, non c’era Internet e le informazioni corrette dovevi non solo selezionarle, ma conquistartele. Tuttavia, rispetto ad altre notizie di guerre, colpi di stato e nefandezze internazionali varie, la risonanza mediatica del golpe dell’11 settembre fu notevole qui in Italia.
Ad essere cattivi, fu volutamente notevole, né vennero risparmiate le notizie riguardanti uccisioni di massa, violenze, stupri e torture. Fu solo un caso? Non credo.

Fu un avvertimento ai movimenti e alla politica tramite radio e TV (solo quelle c’erano, insieme alla carta stampata) perché in Italia continuava il’68 e la mobilitazione operaia non conosceva soste e anche in Italia le sinistre stavano aumentando i consensi e rischiavano di prendere il potere; ecco, quello che era accaduto in Cile sarebbe accaduto anche in Italia, a fronte di un eventuale governo di sinistra che, svincolandosi dagli Stati Uniti, si fosse realmente comportato da sinistra; il piano Marshall ci aveva vincolato per l’eternità agli Stati Uniti e al capitalismo, uscirne sarebbe stato impossibile e il popolo italiano doveva esserne informato.

“Volete forse che succeda come in Cile?” fu una frase che condizionò per anni tutta la politica italiana. E  tutti avevamo ben chiaro che il golpe lo avevano fatto i militari cileno ma era stato organizzato dagli USA e da Kissinger in prima persona.

Se non lo scriveva il Corriere della sera o La Nazione lo si leggeva su l’Unità e sul Manifesto, i quali già raccontavano i sovvenzionamenti concessi dagli Stati Uniti al sindacato dei camionisti in cambio della proclamazione di un perenne stato di agitazione e l’incitamento alle donne della borghesia cilena ad andare in piazza a battere i mestoli sulle pentole vuote, donne che chiedevano a gran voce l’intervento militare e il rovesciamento dei poteri.

La nazionalizzazione delle miniere di rame aveva toccato direttamente gli interessi delle companies nordamericane; ma in quel golpe c’era un “valore” aggiunto: dimostrare all’Europa occidentale che la via al socialismo era impraticabile, dare a tutta l’America latina una dimostrazione esemplare (che l’Argentina avrebbe fatto propria solo tre anni dopo) di come debba essere affrontata qualsiasi velleità socialista, mostrare ai Paesi africani e asiatici che stavano completando i processi di emancipazione e di decolonizzazione chi fosse il vero padrone del mondo, assicurandosi rapporti privilegiati con quelle nazioni.

E fu la vendetta che andava a riscattare il fallito tentativo di rovesciamento del regime cubano e quell’enorme dispendio di risorse e di vite umane che, in 28 anni di guerra, non era riuscito a portare gli Yankee a vincere contro i Vietcong.

Quel golpe in Cile e gli avvenimenti che ne seguirono (i massacri e le torture allo stadio di Santiago, le sparizioni, la violenza del potere con il triste corollario di censure e limitazioni ai diritti e alle libertà) provocarono un senso di indignazione di rivolta. In Italia ci fu una grande mobilitazione per accogliere profughi di origine italiana e non solo.

Ci aiutò la forza della politica ma non solo. Ci aiutò anche la musica. Quella degli Inti Illimani  e altri che in quel momento erano in Europa a fare tour musicali come i Quilapayun.

Un grande come Victor Jara non ebbe la stessa fortuna: lo arrestarono, gli spezzarono le mani e poi lo uccisero e con lui tanti altri artisti e intellettuali. La Destra ha sempre odiato gli intellettuali, ricordatevelo!

Un’ultima considerazione: risuonano ancora nelle nostre orecchie, a cinquant’anni di distanza, le parole dell’ultimo discorso di Allende: “…I processi sociali non si fermano né con il crimine, né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli”.

Tutto vero e condivisibile, come è vero che tutte le dittature, prima o poi, sono destinate a cadere; sappiamo però anche che esse lasciano profonde cicatrici nel tessuto sociale, che rimane pertanto ancor più vulnerabile e costantemente a rischio di nuove infezioni e conseguenti ritorni al passato.
Oggi, noi comunisti e internazionalisti abbiamo il compito di vigilare in Cile come in Italia perché gli anticorpi della democrazia combattano tempestivamente tutte le tendenze autoritarie.
Ecco perché anche se sono passati 50 anni (almeno 3 ere geologiche della politica) noi siamo qua a ricordare la tragedia del popolo cileno.
Viva il Cile (libero)! Viva il popolo! Viva i lavoratori e le lavoratrici in lotta!

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