PISTOIA. In quasi tutte le città non esiste ancora la questione dei rifiuti: o meglio, non si è ancora affermata la consapevolezza che i crescenti rifiuti portati dal benessere e dall’occidentalizzazione impongono un’innovazione organizzativa e tecnologica per trattarli, appunto, come fase di un ciclo continuo del meccanismo produzione-consumo.
Non che in Italia si sia attuata l’economia circolare del riciclo, ma almeno qualcuno ne parla. In India si butta tutto per terra e alla sera passa qualcuno con un carretto e accumula i rifiuti in discariche a cielo aperto. Poi si accende un fuoco, quando serve, o si lascia ad animali e accattoni la possibilità di “recuperare” qualche scarto. A Varanasi l’acqua non è potabile, ogni famiglia ha il potabilizzatore autonomo.
Tanti dormono in strada e alle 4 del mattino iniziano a friggere: non si sa come si procurino il carbone e per chi friggano. Riso e omelette i piatti principali, almeno a Varanas, dove l’alloggio più duraturo è stato in un ostello, guest house, con i bidoni dell’acqua alloggiati sul tetto.
Per strada tuttavia, non sono mai mancate mele, banane, the e quel caratteristico lassi, latte fermentato e non ancora yogurt, cagliato e dal sapore acidino. La vita è in effettivamente strada, come sulla Sala & limitrofe, ma h24 e non limitata alle ore della movida: dal santone che prega, al barbiere che lavora, all’ambulante fino a chi non fa niente a giornate se non guardare il Gange.
Anche mucche, maiali, galline e cani: su scalinate, vicoli e strade, esagerando un po’, per un animale è normale incontrare un uomo. Il Gange, alfa e omega della vita per milioni di indiani: in appositi spazi a ridosso del fiume ci sono le pire che ininterrottamente cremano i cadaveri avvolti nella quasi naturalezza di un rito che fa parte della vita di tutti.
Ci si può avvicinare e fotografare, nessuno si scandalizza, anche se è meglio non dare troppo nell’occhio.
In generale andare in India è come andare in un continente, da quanto è ricca la diversità geografica, fisica e antropica della seconda nazione al mondo, dopo la Cina, per popolazione, dopo la Cina, ma con tasso di crescita demografica addirittura maggiore.
Così, risalendo in jeep da Srinagar con una guida locale verso il Kashmir si possono incontrare ambienti incontaminati difficili anche da immaginare, per come siamo messi rispetto al collasso dell’ecosistema.
In Kashmir però si tocca con mano la tensione: l’esercito è schierato e l’annoso conflitto per l’indipendenza della regione dal governo indiano, che controlla meticolosamente le telecomunicazioni, è lontano dal ricomporsi. Nelle valli vivono gli zingari, i gypsis, una delle etnie più antiche.
Nei tre mesi di temperature non glaciali vivono di pastorizia e pesca, accompagnati dai loro cavalli selvatici. Paradosso: i ragazzi chiedono soldi agli stranieri, ma per spenderli dove se sui monti?
In definitiva l’invasione della modernità, simbolizzata da cellulari e jeans, si aggiunge agli altri fattori di destabilizzazione della regione. Da Shrinagar bastano soli 450 km per arrivare nella terra dove già 300 anni fa esatti giunse il concittadino Ippolito Desideri, il missionario gesuita, partendo sempre da Srinagar e diretto a Lasha, capitale del Tibet, oggi annesso manu militari alla repubblica popolare cinese (del resto con un popolo pacifico per vocazione si vince facile).
Nella capitale del Ladak, Leh, a piu di 3500 m di altitudine, si respira aria fine: è tutto un mercato, di campanellini e cianfrusaglie turistiche. La roccia dei monti che tutto avvolgono fa contemplare l’infinito, sublimato dai colori e dal silenzio generale.
Le persone affaccendate non mancano e i monasteri buddisti, con le decorazioni e strutture del tutto simili a trasformatori elettrici, ed i monaci intenti nella realizzazione di mandala, conferiscono al paese – Leh ha circa 20mila abitanti – un’elevazione spirituale non comunicabile.
Avventurarsi da soli in India rappresenta sicuramente un’avventura a cui non sono estrenei tentativi di “truffe” o raggiri veri e propri, che magari si fa finta di accettare.
Gli indiani all’occidentale che vedono senza compagnia offrono subito un aiuto o un passaggio: ma è una scusa per chiedere dei soldi, e questo è un aspetto desolante, che lascia trasparire tutta la miseria di un’umanità che per millenni ha praticato la gratuità ed il limite mentre ora tratta i fratelli occidentali come merci da spolpare (non come mucche, perché la vacca viene rispettata in quanto sacra).
Oppure capita che tentino, tutti in combutta, dal responsabile dell’agenzia turistica fino al tassista, di imporre al turista solitario la propria soluzione, inventando scuse e ostacoli che impediscono al visitatore di gestirsi come da programma organizzato.
Le note della musica indiana rimangono dentro; nel tabla ad ogni suono corrisponde una sillaba e le strutture ritmiche vengono trasmesse e insegnate oralmente. È quasi una promessa, forse di più: alla sede della Filarmonica Borgognoni del Parterre, Omar Cecchi, che proprio nei locali della più che apprezzata banda cittadina adiacenti al Pantheon della ha mosso i primissimi passi con le percussioni, darà una dimostrazione di tabla, compatibilmente con le docenze negli istituti musicali e, soprattutto, con audizioni o performances a giro per l’Italia.
Vedi: https://www.linealibera.it/a-song-from-benares-il-racconto-di-un-pistoiese-in-india-12/