ABETONE, MA CHE COLPA ABBIAMO NOI?

Giampiero Danti
Giampiero Danti

ABETONE-MONTAGNA. Basta piangere, per cortesia. L’iniziativa privata, un tempo così avversata dalla intellighenzia di certa sinistra che marchiava come furto ciò che era la proprietà privata, ovvero il frutto della libera iniziativa, è divenuta “iniziativa di Stato”, cioè una attività senza rischio d’impresa e senza la possibilità di rimetterci di tasca propria.

Le Regioni, le partecipate, i consorzi e tutto quanto si conforma al parassitismo pubblico senza rischio, è oggi lo specchio fedele di questa Italia. Ci dimenticavamo i sindacati (la più grossa delusione per i lavoratori) che hanno abbandonato il loro mandato di controparte naturale per assumere quella di “fabbrica del bisogno” e su di essa speculare.

Perché si comprenda bene è necessario si sappia che il sindacato, inteso in tutte le sue sigle, possiede una immensità di beni immobiliari che questa Repubblica gli ha donato, gratis, per meriti postbellici. Quali non sappiamo. Su certi presunti imprenditori che tali amano definirsi, parlano gli atti giudiziari che ci riconducono impietosamente alla politica. Questa è l’Italia.
In questo miserevole quadro si inserisce la “telenovela” del Comune di Abetone, Sindaco Danti, che piange se nevica troppo, piange se non nevica, piange se piove e piange se c’è il sole.
Abetone, la Patria di Zeno Colò (un uomo che mi risulta non abbia mai pianto e che nonostante le sue meritate medaglie olimpiche ha continuato a vivere nel suo modesto e personale decoro senza nemmeno meritarsi il laticlavio di senatore a vita…), invece, piange e questua; anche se il suo Sindaco minaccia di volersene andare in Emilia perché i contributi milionari gratuiti che annualmente la Regione Toscana ed il rosso Rossi versano, non bastano.
Il Danti, oltre che Sindaco di Abetone, è anche imprenditore, assieme ad altri, e compartecipe in impianti di risalita che fanno presupporre un conflitto di interesse che per altri – leggi Berlusca – è stato esiziale.

Il Tirreno del 2 ottobre 2013
Il Tirreno del 2 ottobre 2013

Bene, questo tipo di imprenditoria non ci piace. Non ci piace perché è una imprenditoria d’accatto che privatizza gli utili e pubblicizza i debiti al contrario di tanti che rischiano in proprio e nobilitano il concetto di rischio d’impresa. Il passaggio ad alta quota di una messe di pubblico denaro che sorvola le disagiate zone di altri Comuni della nostra Montagna ed atterra solo e solamente in quel Comune di nemmeno settecento anime, deve cessare.

Per rispetto a chi fa impresa rischiando in proprio e accettando le regole di un mercato selvaggio e senza regole che ha il marchio indelebile di una sinistra a caccia di banche (“allora abbiamo una banca?”… ricordate?) e di Banche e Fondazioni bancarie – leggi Monte dei Paschi di Siena – spolpate senza ritegno e salvate con soldi pubblici alla faccia di imprenditori, artigiani e commercianti che fanno i salti ribaltati per mantenere le loro attività e i loro dipendenti con annessi figli e famiglie.
La Regione del rosso Rossi, tanto per fare un esempio, elargisce un milione di euro per un progetto, il Mo.To.Re, che tutti sanno la fine che farà… e ne dà annualmente tre, quattro volte tanti all’Abetone dei vari Galli, Danti etc.

Se rischio deve essere, sia per tutti. Se non nevica o c’è troppo sole, come diceva una vecchia canzonetta, ma che colpa abbiamo noi (contribuenti)?

 

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