PISTOIA. Alle 21:20 le quaranta seggioline rosse predisposte dal Circolo Arci Niccolò Puccini di via Bolognese, a Capostrada, dove dalle 21 dovrebbe prendere vita il dibattito Esposti all’amianto, sono ancora quasi del tutto vuote.
In terza fila, però, accanto, con la loro solita straordinaria eleganza e dignità, come fanno da sempre, da quando si conoscono, da più di sessant’anni, Romano Pagliai e Giampiero Baldasseroni, 81 e 80 anni rispettivamente, si sono già accomodati, pronti ad ascoltare. Si, sono lì solo per sentire, perché quello che avevano da dire lo hanno già detto. E non è servito a nulla.
E che il passato conti davvero poco lo conferma l’intervento, iniziale, del moderatore di circostanza, Daniele Manetti, appartenente al Gart, ora, ma quando unsisapeanùlla, alla San Giorgio, faceva il verniciatore, mestiere con il quale si è preso le sue poderose folate di fibre e che proprio per questo, senza dilungarsi in colpe e responsabilità invita i presenti, operai, ex operai e cittadini qualunque, a rivolgersi all’ospedale universitario di Siena, Le Scotte, all’avanguardia nella tragica individuazione di pleure, il presupposto del mesotelioma, l’ultimo telegramma prima dei saluti. Sì, perché a Siena, oltre che essere parecchio in forma per lo studio preventivo della malattia, i tempi tecnici di diagnosi sono decisamente meno lunghi di quanto non succeda a Pistoia.
“Ogni sei mesi devo sottopormi a delle cure specifiche – ha raccontato Daniele Manetti con il foglio rosso del suo medico di base – e al Cup di Pistoia mi han detto, in questi giorni, che dell’esame di cui ho bisogno se ne riparlerà a maggio, ma non è da escludere che si vada al 2016”.
Qualcuno, tra i presenti, che dopo le 21:30 riempiono la metà della sala e trasformano la casa del popolo in un vecchio conclave rosso di discussioni, ha tra le mani il libro di Valentina Vettori, la figlia di Marco, Morire d’amianto a Pistoia, presentato la scorsa settimana in Sala Maggiore. Anche ieri, per questa nuova discussione sul martirio dell’amianto, non ci sono né Lido Scarpetti, né Stefano Bindini. C’è però il gotha del Pd, il vecchio e il nuovo, renziani e dalemiani, civatiani e tsiprasiani.
Tra i relatori gli onorevoli Edoardo Fanucci e Caterina Bini, non abbastanza ferrati con le fibre dell’amianto, ma presenti. Al loro fianco, sull’ultima seggiolina disponibile, fuori dal banco, Samuele Bertinelli, il Sindaco, che arriva un po’ in ritardo, ma prende appunti e poi, come da protocollo, il suo intervento sarà quello che chiuderà la seduta, raggelando la sala.
Pietro Sartorelli, di Medicina del lavoro di Siena, è stato costretto a declinare l’invito: il vecchio padre, nel pomeriggio, è stato ricoverato in terapia intensiva. Ma ha inviato comunque i dati da lui raccolti, che sono quelli che snoccioleranno, in ordine sparso, Daniele Manetti, Oscar Petrucci, dell’Anmil, Massimo Selmi, ingegnere ambientalista e Andrea Innocenti, del Dipartimento della Prevenzione della Usl 3.
Di nuovo, rispetto a quello che è tristemente noto da tempo, c’è poco o nulla. La forbice della malattia non ha ancora sferrato il suo attacco letale; questo lustro che viene, in compenso, 2015-20120, dovrebbe essere uno di quelli nei quali le agenzie di pompe funebri avranno il loro gran daffare, per non parlare del quinquennio che verrà quando i calendari riguarderanno il 20125-2030.
Ma come, se in Breda, nel 2014, è stato smantellato l’ultimo residuale bellico d’amianto, come è possibile che in questi cinque anni che iniziano ora e in quelli sottesi tra il 20125 e il 2030 si dovranno consumare parecchi riti funebri?
Perché l’amianto non era solo alla San Giorgio e poi in Breda, ma sui tetti delle case, nelle cementificazioni dei palazzi e con la (in)naturale dispersione, un po’ ovunque, nell’aria, naturalmente, come nell’acqua, probabilmente. E poi, di amianto, ne fanno ancora largo uso in Cina, ma anche in Canada e le polveri, come quelle di Chernobyl, non restano a proteggere e maledire soltanto i loro mittenti, ma vanno a far visita a tutti quelli che popolano il pianeta.
Prima che gli interventi si impossessino dell’attenzione dei presenti, in sala, qualche operaio (stavolta, a differenza di Palazzo di Giano, qualcuno c’è) non fa mistero della preoccupazione del posto di lavoro. E quasi tutti concordano che, al di là delle tragiche rassicurazioni sindacali, i nuovi proprietari faranno esattamente quel che compete loro: i propri interessi, che non è affatto detto che coincidano con quelli delle maestranze.
La serata, più emozionante di quanto si sarebbe detto al suo flebile e distratto esordio, incalza. Qualche operaio chiede all’ingegner Massimo Selmi di spiegare come lo abbiano rimosso l’amianto, con quali precauzioni. Si preannunciano frizioni degne di una casa del popolo. Ma l’ultima parola spetta al Sindaco e Samuele Bertinelli sa come si tiene a bada il volgo: lo si rimprovera, con parole ficcanti e scandite e con sguardi che incutono timore. Lo sa lui, cosa han fatto singoli cittadini e amministratori in tutti questi anni: ha le prove documentate, coperte da segreto istruttorio.
Per ora, ci pare di poter concludere, al di là del fatto, come ha sentenziato Andrea Innocenti, che ci vorranno ancora 85 anni prima di poter scrivere, definitivamente, la parola fine sulla questione, che chi l’ha ’n tasca, l’ha ’n casa.