PISTOIA. Oggi è un giorno triste per lo sport mondiale: è scomparso Johan Cruijff, “il profeta del gol” per dirla con Sandro Ciotti (altro mito, ma giornalistico).
Questa notizia non riguarda direttamente Pistoia o forse sì, riguarda anche la nostra amata Pistoia: chissà se il divino Johan la conoscesse, se sia mai passato da queste parti. Certo, per lo sport e il calcio in particolare è stato l’innovazione: uno dei primissimi calciatori moderni, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta quando di giocatori moderni non si parlava affatto.
Aveva rapidità e tecnica da vendere, ma spesso correva come un mediano. Non ha avuto una carriera lunga, anzi abbastanza breve, ma ha vinto tutto (tranne il Mondiale con la Nazionale olandese, che ha collezionato due secondi posti che sono rimasti, “una tantum”, nella storia più delle affermazioni di Germania Ovest e Argentina).
È stato uno degli artefici del calcio totale, il Pelé bianco (definizione di un altro grande della penna, Gianni Brera). Cruijff era lo sport, quello sport che giornalmente affrontiamo anche noi: il bello e il brutto e provo a spiegarle perché. Ho conosciuto Cruijff da bambino, dai racconti di mio padre: il Milan, la squadra del mio cuore, l’aveva affrontato giovincello strapazzando 4-1 il suo Ajax, a Madrid.
Poi avevo avuto modo di documentarmi (pur piccino, il gioco del pallone meritava questo e altro. Quel gioco, non l’attuale) attraverso un documentario-film del già citato Ciotti (“Il profeta del gol”, appunto, che fa ancora bella mostra accanto alla mia tv).
Arrivò l’anno di grazia 1981. Era il 16 giugno, il mio compleanno era stato due settimane prima. Rivera, il mio mito, Gianni Rivera, il 10 per antonomasia, aveva attaccato gli scarpini al chiodo un paio di anni prima.
Il Milan, il mio Milan era un Piccolo Diavolo, si stava lentamente sgretolando: era stato persino retrocesso in serie B per illecito sportivo, un’onta toccata per gli accusatori dell’epoca “ai ladri di polli”, mica a quelli che contavano per davvero.
In quella tarda primavera Silvio Berlusconi, che in pochi conoscevano se non come costruttore di Milano 2, aveva pensato a un Mundialito per Club, a una manifestazione tra i vincitori della Coppa Intercontinentale per lanciare la sua televisione, la televisione privata. Il Milan si fece prestare dall’Ajax Cruijff, ormai agli sgoccioli della trafila.
Un piccolo Cruijff per un Piccolo Diavolo, ma Direttore quel bambino, una volta tanto, tornò a sorridere, così come faceva ascoltando quel genio di Beppe Viola. Cruijff e il Milan: 45 minuti, un tempo, uno 0-0: poi la sostituzione con Francesco Romano, che avrebbe trovato fortuna a Napoli. Quarantacinque minuti con il calcio, con lo sport, passione poi amore di una vita.
Anche quel piccolo Cruijff insegnava: insegnava che puoi praticare tutte le discipline sportive del pianeta con passione, amore e quindi con impegno, volontà, costanza, serietà. Con lealtà e onestà. Insegnava valori, così solo a vederlo. In campo. Fuori.
Ritrovai l’asso olandese più grandicello, come allenatore di un altro “danzatore del pallone”, Marco Van Basten, e quale tecnico di un super Barcellona che avrebbe dovuto tagliare a fettine uno stupendo Milan, privo però di Baresi e Costacurta.
Finì con Capello trionfatore e Cruijff con lo sguardo perso nel vuoto. E anche lì fu una lezione del profeta, per tutti: mai dare per vinto un trofeo che non si è ancora giocato.
Lui e gli atleti blaugrana avevano commesso un enorme peccato di presunzione, di superbia: si erano fatti fotografare con la Coppa dalle grandi orecchie prima della sfida, come dire siamo i più forti, è già nella nostra bacheca.
Fu uno 0-4 epico, ma quello sguardo perso nel vuoto di Johan vive ancora nei miei occhi. Grazie, profeta. E mi raccomando: anche lassù inventi calcio.
P.S. – Probabile che nel suo girovagare per il mondo Cruijff non sia mai passato da Pistoia. Certo è che Pistoia e la Pistoiese (di Marcello Melani) veneravano a tal punto lui e la sua Olanda da chiamare con orgoglio la squadra arancione di Pistoia, l’Olandesina.
[Gialuca Barni]
Bravo Gianluca,
meglio di così il grande Johann non poteva essere commemorato. Una tristezza ed un ricordo che condivido in pieno anch’io, specie dopo avere rivisto, poco fa, una impressionante antologia di goals sulla Repubblica on-line.
Piero
Mille grazie, Piero. Chissà, magari dall’Alto ne sorriderà pure.