ARTEMISIA, UNA PITTRICE TROPPO AUDACE

Dora Donarelli e Lucia Fucarelli Bugiani
Dora Donarelli e Lucia Fucarelli Bugiani

PISTOIA. Una donna d’altri tempi, Artemisia Lomi Gentileschi, ma non certo dei suoi. E non solo per la componente seduttiva che ne contraddistinse l’intera esistenza nella seconda metà del XIV secolo, soprattutto nel periodo adolescenziale, quando garzoni di fornai e professori d’arte rimasero storditi dalla sua improvvida conturbante bellezza e soprattutto dalla sua incontenibile e a volte peccaminosa voglia di vivere.

Perché Artemisia Lomi Gentileschi è stata, soprattutto, una delle pochissime pittrici nella storia dell’arte visiva a conquistarsi un posto nell’olimpo della storia tramandata fino ai giorni nostri e a quelli che verranno e a divenire, in realtà, l’unica caravaggista, assai più di quanto seppero imporsi, in questa fascia elitaria, il padre e i suoi amici insegnanti.

Un’illustre e inimitabile entità culturale ingigantita dalla vicenda che le stravolse la vita, quando sedicenne venne ripetutamente violentata da uno dei suoi più attenti docenti, Agostino Tassi, maestro di prospettiva e detestabile approfittatore. Una scabrosa vicenda di cronaca nera che divenne morbosa in virtù della denuncia che fece il padre all’aguzzino della figlia, mosso però non dal coraggio e dalla voglia di vendicare le offese subite dalla sua piccola, ma dall’economica possibilità riparatoria, poi verificatasi, che gli valse oltre trecento scudi parzialmente investiti poi nella dote del matrimonio combinato per l’offesa.

E’ sul binario pittorico-artistico e umano-morale che si è mossa, l’altra sera al piccolo teatro Bolognini di Pistoia, la lettura scenica di Artemisia, ideata da Lucia Focarelli Bugiani, che si è avvalsa, per la rappresentazione, della compagnia teatrale Il Rubino, e cui regie sono opera di Dora Donarelli.

Un lavoro portentoso, scenograficamente coinvolgente, seppur non originale (Alessandro Gassman docet), con quel telo sottilissimo posto sul limitare del palcoscenico e sul quale vengono proiettati alcuni dei dipinti più famosi di Artemisia, instradata all’amore della pittura e, conseguentemente a quello della vita e delle sue incontrollabili passioni, dall’assillo paterno, che seppe intravedere in tempi decisamente non sospetti nelle mani e nelle visioni della sua giovane bambina i segnali di una donna che avrebbe segnato la sua epoca e quelle a venire.

Un lavoro utile, inoltre, soprattutto per la Fondazione Il cuore si scioglie e per l’Associazione Rosso purpureo, alle quali la compagnia teatrale ha interamente devoluto il considerevole incasso della serata, con un Bolognini quasi tutto esaurito.

La compagnia del Rubino
La compagnia del Rubino

In sottofondo, certe volte con impeto eccessivo fino ad inibire i flebili vagiti fonici dei vari protagonisti, una musica cinquecentesca, una colonna sonora a tratti invasiva che ha comunque scandito le gesta della protagonista, impersonata, nella sua prima fase adolescenziale, da Martina Bindi e da Mimma Melani in quella più matura.

A completare lo stuolo dei vari lettori, Riccardo Baldini (il padre), Elena Niccolai, Marinella Di Martino, Marco Tognozzi, Marco Leporatti, Massimo Romiti, Pino Capozza, Rosa Giaimo e Enrico Breschi e con la partecipazione, danzante, di Silvia Dami, Chiara Lotti e Virginia Vivona, coordinate quest’ultime tre, da Giulia Ottanelli.

Qualcuno di loro si vorrebbe librare in volo e recitare, abbandonando sui provvidi leggii i copioni; altri invece stonano seppur leggendo, non riuscendo minimamente a calarsi nel personaggio, nemmeno con tanto di abbigliamento d’epoca, nemmeno quello che portano a spasso quotidianamente, verrebbe da pensare. L’idea è ottima, la resa un po’ meno, soprattutto perché stride la convincente vis di qualcuno in relazione, immediata, alla modestia di altri. Lo spettacolo comunque regge, si trascina gradevolmente fino alla fine, compresa la piccola pausa soffusa che divide, virtualmente, la rappresentazione in due atti.

Gli applausi, alla fine, arrivano, infatti, soprattutto perché in sala, siamo pronti a scommettere, sono molti quelli che sono grati a quest’idea teatrale, perché prima di ieri sera, della pittura di Artemisia Lomi Gentileschi e della vita, dissacrante e beffarda, di Artemisia, parecchi ne ignoravano quadri, esistenza, voglia, sarcasmo e coraggio.

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One thought on “ARTEMISIA, UNA PITTRICE TROPPO AUDACE

  1. Artemisia Gentileschi adotta il cognome Lomi solo nel periodo fiorentino (rifiutando quello di Stiattesi del marito), riprendendolo dalle origini toscane della famiglia paterna. Non è corretto proporre i due cognomi dato che, una volta tornata a Roma, riprende il primo cognome proprio come segno di fierezza e orgoglio in raffronto alla violenza subita. La pittrice vive a cavallo tra il XVI e XVII sec. dato che nasce nel 1593 e muore nel 1654 mi sembra uno sbaglio abbastanza grossolano indicare la seconda parte del XIV sec. come epoca dell’artista e cosa più grave del caravaggismo.

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