I periodici (tra cui rientra anche il quotidiano on line, a prescindere da ciò che “ammaestra” la Cassazione, che non è l’Accademia Fiorentina della Crusca) non si stabiliscono ope legis, ma ope grammatica scientia, di cui purtroppo molti magistrati sono assolutamente digiuni
La vita di un cronista è certo dura:
ma ancor più lo diventa se ha paura
TUTTI BUONI QUIETI E ZITTI:
PISTOIESI, SIETE FRITTI!
Pistoia, in questi giorni, è una città di peperoni dolci: va di moda il friggitello.
In effetti gran parte dei pistoiesi – anche quelli ciechi, muti e sordi – sappiamo che è in attesa di conoscere quello che finirà per decidere il Tribunale del Riesame sul tema «ammazziamo la libertà di stampa», suscitato ad personam contro Linea Libera e il suo direttore (me), giornalista di fatto e di diritto.
Il tutto architettato da due giganti (e questo si fa per dire…) della legge del più forte: un capo Pm mandato qui nonostante i suoi favoritismi alla sorella, Lucia Turco, di Luca Turco, persecutore fiorentino dei Renzi e cugino della presidentA degli avvocati del for[n]o (i pistoiesi derivano il loro nome da là) pistoiese; e un sostituto super-protetto da Csm (ce lo ha scritto Barbarisi per ben due volte) a cui questa “Res Publica infamis”, permette di esercitare (sempre e solo a suo piacere e del tutto fuori legge) il suo potere bieco e cieco con la moglie Nicoletta Maria Caterina Curci delle Esecuzioni. I due azzerano il lavoro e le vite di una intera vita di sudore da parte di vivaisti minori e non solo.
Fine della premessa. Tutti friggitelli, i pistoiesi. Dalla curiosità di vedere come finirà l’assurdo kafkiano della stampa clandestina di Linea Libera.
Ieri, verso le 14, Massimo Donati del Tirreno, ambizioso di voler battere la concorrenza della Nazione, telefonava alla mia avvocata, Pamela Bonaiuti, per sapere cosa avesse deciso il Riesame. Ed ha avuto l’unica risposta possibile: tachipirina e vigile attesa. Il Riesame si è riservato. Attenderemo. Vedremo, disse il cieco.
Nel pomeriggio ho scritto a Massimo (era un ragazzotto di bottega al Tirreno quando io ero responsabile della pagina Quarrata-Agliana-Montale (1990-93) con già sulle spalle, all’epoca, 5 anni di abusivismo giornalistico più 18 anni di iscrizione all’albo degli albigiani-albigesi-alboini di Carlo Bartoli e Giampaolo Marchini. Carlo Bartoli, oggi presidente nazionale, all’epoca era perfino molto più giovane di me anche come data di prima iscrizione all’albo degli albigiani-albigesi-alboini.
A Massimo ho chiesto di farmi un’intervista, dicendogli che gli avrei rilasciato tutte le notizie (come sempre veraci) con dovizia di particolari. E comunque il Donati non ha da temere: lui, in procura, è talmente ben visto, che (basta guardare e comparare Tirreno e Nazione) batte ogni volta il duo Agati-Vacca quanto a notizie-sprint provenienti dal terzo piano. D’altra parte, a Coletta, il Donati non scrisse quel Panegyricus che, fra i primi dell’antichità, Plinio il Giovane dedicò al grande Traiano?
Il Riesame, per ora, sta penZando. PenZando a come risolvere un vero dilemma costituzionale.
Se è vero che l’art. 21 recita «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»; e se la legge-gabbia sulla stampa (la 47 del 1948) è una legge ordinaria e non può in alcun modo superare il dettato costituzionale, né tantomeno può farlo come modificata dopo l’istituzione della legge 69 del 1963, quella che rese ufficiale la cupola dei giornalisti, qualsiasi cosa il Riesame stabilisca contro Linea Libera e la libertà di stampa e di espressione, è solo un’immonda violazione sia formale che sostanziale (e non meno ruffiana) dei diritti universali dell’uomo. Dopo cosa potranno farmi, Coletta e Curreli? Trascinarmi in Campo dei Fiori e darmi fuoco come fu fatto a Giordano Bruno?
Non mi meraviglierei se, comunque, il Riesame desse ragione ai due giganti (e questo si fa per dire…) della legge del più forte, tanto democratici e legalitari da passare, come Putin, al di sopra del cadavere di Navalny.
Il potere della legalità è questo e ben altro: e lo vediamo dalle acque luride della procura più inquinata d’Italia, baricentro massonico-mafioso-sinistro di una Perugia, che sta a metà via tra Firenze e Roma, ago della bilancia del malaffare.
Se, come ho suggerito ieri al Donati, il cronista avesse il fegato di intervistarmi e di farmi parlare (cosa che non ha), capirebbe ancor meglio e ancor più potrebbe sapere sul cupo livore e l’aria di minaccia, foriera di tempeste, portata in aula dai due giganti (etc…) per indicare al Riesame chi è che deve comandare a Sarcofago City.
Per ora la Pistoia dei friggitelli (ma già fritti in partenza e ripassati in padella e non pur solo una volta) deve attendere: come il paradiso in un famoso film di decenni fa. Poi… se son rose fioriranno, se sono cadaveri verranno a galla.
Una cosa è certa – e questa è una valutazione di commento personale ex art. 21 Cost.: Coletta mi impedirà anche questo col suo siniscalco Curreli? –; è certo che qui, dinanzi al Duomo del furto di Vanni Fucci, si sta svolgendo una lotta sorda, subacquea o sotterranea, fra procuratori e giudici penali. Con i primi che pressano (in taluni casi fino alla rottura delle scatole) sulle scatole dei giudici penali, che sembrano vivere sotto l’oppressione austro-ungarica delle orde dei palamarian-perugini in senso lato.
L’aria è densa, a Pistoia, e irrespirabile: come quella dell’inceneritore di Montale. Talmente ambigua che – e analizzo un caso specifico – il relatore della sentenza della Cassazione che ha riaperto la porta chiusa in faccia ai due giganti (etc…) è, se non erro, Giuseppe De Marzo, il giudice del lavoro che a Pistoia ha lavorato per più di un po’.
Basterebbe soltanto questo per far sorgere un dubbio legittimo di “accomodamento” non certo pro reo, ma pro oppressoribus. Che hanno fatto? Si sono scelti, forse, il giudice giusto per ottenerne una via di fuga onde giungere al proprio scopo di navalnyzzarmi?
Non vi sembra che mettere il tutto in mano al De Marzo sarebbe un po’ come affidare la cura di un seminarista a un prefetto pedofilo? Che gatta da pelare per il Riesame! Non lo vedete che la procura e i procuratori non mostrano alcun senso del limite pur di valorizzare la propria egotica autostima?
L’Italia è un paese in-democratico fondato sull’arroganza dei Pm e dei sostituti, novelli Putin della democrazia e della libertà. Amen.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
IL RE È NUDO E NON V’È DUBBIO
DA PERUGIA E ’NFINO A GUBBIO
Come ho fatto presente ieri al presidente del Riesame, Alessandro Buzzegoli, Linea Libera è, e resta, un «Quotidiano esente dall’obbligo di registrazione ex art. 3-bis, Legge 103/2012 in GU Serie Generale n. 168 del 20-07-2012», checché ne dicano i due giganti di cui sopra etc..
E io sono – e resto – giornalista da qui all’eternità, perché ho l’abilitazione alla professione. E la procura ha fatto tutto senza svolgere nessuna appropriata indagine, con ciò violando l’art. 358 cpp.
E i periodici (tra cui rientra anche il quotidiano on line, a prescindere da ciò che “ammaestra” la Cassazione, che non è l’Accademia Fiorentina della Crusca) non si stabiliscono ope legis, ma ope grammatica scientia, di cui purtroppo molti magistrati sono assolutamente digiuni.
Se, dunque, ho commesso reati di ogni genere – compreso quello di offendere i magistrati – Coletta e Curreli non possono menare il can per l’aia, ma devono esporsi e mostrare, con un guizzo di onestà intellettuale – che però non sembrano avere – che loro sanno anche denunciarmi direttamente a Genova senza “agire di lato” secondo schemi pseudo-legali, ma sostanzialmente mafiosi.
One thought on “aspettando godot. FRA LA MUFFA E I FRIGGITELLI”
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