avanti c’è posto. «QUANDO IL DITO INDICA LA LUNA, LO STOLTO GUARDA IL DITO»

 

«A ciascuno il proprio elmo» disse fiero il prode Anselmo

DONNE DISTRUTTIVE D’ESTATE, DICEVA ALCEO
PERCHÈ, IN TARDO AUTUNNO COSTRUISCONO?


Un condensato di supposte, più che di supposizioni. Con presunto (e presuntuoso) scivolone dotto finale

 

L’ARTICOLO montale, guys and dolls. franco vannucci e i «populisti massacrati dai piddì ben educati» come era prevedibile ha sortito il suo effetto: c’è stata una fuga in ogni direzione, come quando in una piazza scoppia un petardo e la gente si sperde da tutte le parti. Insomma un gran formicolìo.

Ovvio, legittimo e giusto. Il sasso nello stagno (ché di stagno si tratta, dove gracidano infiniti batràcidi disturbati dall’idra mandata da Zeus) ha fatto l’effetto sperato: voglio dire l’effetto per cui – usando una metafora carissima alla sinistra – se indichi la luna, lo stolto guarda il dito.

Diego Fusaro – che qualche 5 Stelle dovrebbe conoscere – direbbe che non si replica con strappi di capelli per paura delle parolacce e per senso (finto) del pudore, ma si risponde con argomentazioni logiche e, pertanto, concatenate.

Se invece guardate tutto quello che è stato scritto, una cosa sola salta agli occhi: si ha l’impressione che, una domenica sera al vespro di don Firindelli, mentre tutte le pie donne erano a pregare la Madonna Pellegrina, è entrato in chiesa un imbecille con l’impermeabile e, di botto, l’ha aperto mostrando il suo attributo con le due apposizioni, e seminando scompiglio e sconcertando a morte la società delle vecchiette oranti.

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Che dramma! Che tragedia! Un esibizionista è schizzato in mezzo alle ninfe e c’è stato un parapiglia del diavolo: fosse stato presente Shakespeare – e ce lo potrebbe confermare la più intellettuale di tutte le pie donne, la signora Milva Maria Cappellini – con uno spettacolo di questo genere non solo avrebbe fatto un sacco di risate (cosa che è emersa dalle condivisioni dell’articolo stesso da parte di gente stufa del Vangelo secondo Bergoglio e la sinistra), ma avrebbe scritto una seconda divertente commedia, con un titolo a uso Sogno di una notte di mezzo Montale. E tutte le ninfe sarebbero state inquadrate nel loro ruolo di beghinismo pseudo-sinistrofilo-femminista che, a questo punto della storia, altro non è che la caricatura di se stesso: una vera e propria ridicolezza incapibile a certe signore perché prive degli strumenti culturali necessari per comprendere termini e contenuti di umorismo e satira – ciò che i greci definivano tò ghelòion, il ridicolo.

La memoria più lunga, fra tutte le combattenti capeggiate dalla Agnese-Lisistrata sulla via di un rinnovato Sendero Luminoso antiuomo (come una mina) è, appunto, la signora Milva Maria Cappellini che, profondamente conscia del valore che le discende dal far parte della Società Italiana delle Letterate, convinta di portare a salvezza la scuola dell’ignoranza di sinistra (gran parte dei diplomati non sanno né leggere né scrivere né fare di conto e non hanno neppure non dico una solida base culturale, ma nemmeno un gradino o una semplice soglia) si esibisce in pregevoli francesismi («soi-disant», per esempio: quelle finesse, madame!), probabilmente incomprensibili per la massa rivoluzionaria che ribolle, e si avventura, con il rischio di battere una bella «grugnata», in analisi filologico-interpretative a cui è abituata da sempre, dacché legge Bulgakov e la sua Margherita (per le seguaci dell’Agnese: non è una pizza…) ma utilizzando princìpi di filologia da Bignami, in quanto elaborati con la solita superficialità approssimativa dei letterati moderni: l’analisi del sangue, madame, non può farla un’infermiera, sia pur professionale; la deve eseguire necessariamente un ematologo. E, in filologia, gli ematologi veri sono solo quelli che hanno lavorato secondo i princìpi e le regole (mi duole dirlo, causa Merkel) tedeschi o italiani, anche, ma classicisti alla Giorgio Pasquali: e non gli improvvisatori modernisti.

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E qui casca l’asino, perché madame Milva, cui ancora brucia la definizione di Lassie (Gaviscon fa comodo, me lo ha detto un medico di Careggi), cecata per limitatezza di visus critico, adirata per il discorso dell’irritante «invidia penis», finisce col battere davvero la «grugnata» di cui sopra. E alla grande: infatti si rivolge a me come a un narciso che si autocita, stile D’Annunzio.

Ma… gentile madame Milva, «Vusavé scazzé à la grand! Vusavé pissé fèr diù vasó», perché quell’espressione, «invidia penis», fa parte di un fascicolo che circolava al Forteguerri negli anni in cui il Bertinelli, che lei conosce perfettamente, studiava greco e latino sotto la mia direzione.

Uno a zero, palla al centro. Prenda, incarti e porti a casa! Si dovesse fare a gara a chi è più narciso, dio che gusto! Io sarei proprio l’ultimo della fila, così umile qual figlio di un un umilissimo (ma assai intelligente) falegname di Quarrata.

Non mi pare che lo stesso possa dirsi di lei, sempre pronta a scendere in campo ma – lo dica – non per puro esercizio retorico e di contraddittorio: ma soprattutto per motivi e interessi molto direttamente personali (perché non farlo trasparire?) legati a tutta la vicenda di un certo funzionario pubblico al centro non di mille e una notte, ma di mille e un porcaio (sterquilinium, in latino: come tradurlo se non storicizzandolo in un icastico «merdaio»?).

Contrariamente al gracidante stagno di Montale, così pronto non ad argomentare e discutere, ma a strapparsi i capelli e a scandalizzarsi come delle povere «donnaccole» del popolo dell’ignoranza, quali furono le mie nonne – che non sapevano né leggere né scrivere, ma che vissero sempre molto meglio della Lisistrata e delle sue Amazzoni senza un seno (per questo “andìano” a scartabellare sui libri, con cui hanno, mi sembra, poca dimestichezza) –, madame Milva è sempre in prima linea e pronta dispensare consigli e giudizi (non si scandalizzi: trattandosi di «invidia penis») del cazzo.

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Quanto all’esistenza o meno dell’ordine dei giornalisti – e con questo rispondo ai dubbi di Anita Ferri e di chi ne invoca la divina giusta punizione – può rispondere, con dovizia di particolari, ancora una volta, madame Milva che, se non erro, all’ordine si è rivolta con il marito almeno un paio di volte: ricevendone (attente: sto citando Beppe Grillo) un paio di gentilissimi «vaffanculo».

Chiudo ancora con una citazione di Grillo quando, l’altro giorno, ha confermato il comando a quel povero esserino di Di Maio: «Non rompete i coglioni!».

Infine, ad ogni buon conto, vorrei dare qualche umile suggerimento culturale utile all’emancipazione delle guerrigliere (mine) antiuomo montalesi.

Comincerò con una dotta citazione da autore di non sospetta parte politica, Cesare Pavese, tratta da Tra donne sole (1949, Einaudi, p. 75):

– E allora perché si è avvelenata? – dissi. – Alla sua età?
– Non per amore, sono certa, — disse Momina corrugandosi. – Lei fa la vita che ho fatto io, che fanno tutte… Sappiamo bene cos’è il cazzo

Queste erano le vere donne di sinistra; quelle uscite dalla vera resistenza e non dalle stanze dell’Anpi con «poltrone e sofà, artigiani di chi meglio sta»!

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Poi passo ora a suggerire La conversazione intima di Eroda, che ci parla di un eccezionale ciabattino inventore del baubòn o vibratore (ma senza motore e di cuoio cucito) definito come cheròn giunaikòn lìchneuma (= leccornia delle donne vedove).

Poi suggerisco, a ogni femminista neo-puritana, la lettura (note comprese) di Antologia Palatina, Epigrammi erotici, libri V e XII, curato da G. Paduano, Rizzoli, Bur 1989; indi il mio Carmina Priapea, ancora Rizzoli, Bur 2001 (opera realizzata con il groppo in gola mentre mio padre stava morendo di cancro) e, per finire, una qualsiasi edizione del Kamasutra (piuttosto esauriente ed esaustivo quando a mostrare la vita nei suoi aspetti, evidentemente ignoti a certe radical progressiste).

Per capire meglio le opere classiche, consiglio vivamente anche J.N. Adams, Il vocabolario del sesso a Roma. Analisi del linguaggio sessuale nella latinità, Argo, Lecce, 1996. Legga anche lei, madame Milva, imparerà certo qualcosa di nuovo e di interessante. Se potete leggete anche gli Epigrammi di Marco Valerio Marziale (poi, magari vi confessate da don Firindelli o da chi vi pare).

Per chi volesse approfondire, una bibliografia non si rifiuta a nessuno. Nel frattempo, più che Il maestro e Margherita, iniziate a riflettere su Orgoglio e pregiudizio e (perché no) anche sul Vangelo che, in tutta la vostra correttezza scandalizzo-moralistico-diarroica, sembra che non conosciate affatto o quasi.

Omaggio di Prévert

E buon con[s]iglio comunale con quel bullo del Betti!

PS – La Dardanelli chiede perché il Balli pubblica questi pezzi su Montale. Lo fa, signora Barbara, perché glielo chiedo personalmente.
Mi sembra giusto e corretto che non dobbiate stare sempre e comunque chiuse in canonica a cantarvela e a suonarvela fra voi.
Le notizie e i commenti – nel pluralismo che tanto amate – devono giungervi forti e chiari.
Qui non ci sono cani accovacciati agli ordini di nessuno: c’è gente libera. Non è come a casa vostra.
Con questo, chiedo gentilmente a Andrea Balli di farmi la cortesia di postare questo mio commento su PoDere Montale. Grazie e buon divertimento a tutti.

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Omnia munda mundis, per i puri tutto è puro


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