PISTOIA. Cari Samuele ed Alessandro,
sono stato a lungo incerto se ricorrere, nell’indirizzo di questa mia, ad un riferimento meno confidenziale rispetto a quello sopra usato.
Il motivo sta nella circostanza che non conosco Alessandro, se non di vista e solo attraverso quanto ho letto di lui ed anche con Samuele, con il quale ho condiviso lunghi periodi in Consiglio Comunale, non ho più avuto consuetudine dal 2007, con lui personalmente ma anche con l’Ente locale che lui presiede, in maniera tale da permettere particolari rapporti di cordialità e confidenza. Anche il piccolo, modesto CIPES, nell’attività in campo economico e sociale che ha svolto in questi anni, non ha avuto quasi mai modo ed occasione di rivolgersi al Comune, se non quando chiese, anni fa, di allestire una mostra in ricordo di Alcide De Gasperi nelle sale al pianoterra del Comune (ricevendo una cortese, compresa, ma un po’ burocratica risposta di diniego solo dopo 5-6 mesi rispetto alla data assai in anticipo richiesta e segnalata) o quando si propose di intitolare un luogo pubblico alla memoria di Giorgio Ambrosoli (da non so quale Commissione, mi dicono, ritenuto, insieme ad altri, figura “non attinente al territorio”). Chissà se lo stesso risultato avremmo avuto se avessimo chiesto di ricordare, insieme ad altre figure del cattolicesimo democratico, il sacrificio di Roberto Ruffilli.
Ho usato il “Cari Samuele ed Alessandro….” non solo perché, ahimè per me!, c’è più di una generazione di differenza di età con voi, ma anche perché, e soprattutto, il SINDACO, chiunque esso sia e sarà, è e dev’essere il più possibile l’amico (non l’amicone!), il punto di riferimento (non il confidente!) per coloro che della comunità civile della quale lui è a capo fanno parte. Non è un mistero, l’abbiamo detto pubblicamente, che, al primo turno, come CIPES, abbiamo scelto di appoggiare la candidatura di Roberto Bartoli. Lo abbiamo fatto, partendo da una frase di Giorgio La Pira da lui citata che qui mi permetto di riproporre alla vostra attenzione:
“La città è una casa comune in cui tutti gli elementi che la compongono sono organicamente collegati, come l’officina, la cattedrale, la scuola, l’ospedale; tutto è parte di questa casa. Il compito di chi guida la città è pensare, meditare prima di progettare, e se non lo facciamo siamo soltanto dei direttori generali. Questa casa va amata perché in essa abitiamo e in essa abiteranno le generazioni future alle quali va consegnata preservata ed arricchita”.
Una frase che mi sembra condensi in maniera mirabile, in poche righe, la vocazione, il ruolo, il compito di un Sindaco. Per inciso, vorrei anche dire che Giorgio La Pira fu troppo frettolosamente e talvolta ambiguamente definito il “Sindaco Santo”, con ciò da qualcuno intendendo maliziosamente sminuire la sua attività concreta che invece, ne sono stato in qualche misura testimone, contribuì in maniera significativa allo sviluppo ed alla crescita di una città complessa come quella di Firenze, contornato nella sua azione quotidiana da figure di grande rilievo (tra le altre quelle di Fioretta Mazzei, Nicola Pistelli e Pino Arpioni…), che con lui collaboravano, in grande armonia ed unità d’intenti, nell’affrontare le difficoltà concrete che un Sindaco, ogni giorno, si trova ad affrontare.
Tutte le mattine, ed anche più volte al giorno, per vari motivi, passo davanti ad un luogo che ha un significato tutto particolare nella storia della città, ed anche nella mia vicenda personale. Si tratta di Piazza Giovanni XXIII (ora Santo!). Su di essa si affaccia il Fregio Robbiano, con le formelle celeberrime in tutto il mondo per la rappresentazione delle opere di misericordia corporali, paradigma ispiratore della dottrina sociale cristiana, i cui punti essenziali sintetizzati in una specie di decalogo, da affrontare in una serie d’incontri che il CIPES intende organizzare nel prossimo autunno.
Lì, in quella piazza, oltre 50 anni fa la città intera visse un’esperienza assai interessante e significativa. Il Vaticano emise una serie di francobolli celebrativi del pontificato di Giovanni XXIII raffiguranti, appunto, le opere di misericordia corporale con le formelle del fregio robbiano. Da lì l’idea di un gruppo di amici di proporre al Comune di Pistoia, che l’accolse, l’idea di intitolare al “Papa buono” la piazzetta davanti all’ingresso dell’Ospedale del Ceppo. Il che avvenne con una commovente cerimonia alla quale presiedette proprio Giorgio La Pira.
Ho letto che l’unico confronto tra voi due candidati al ballottaggio si svolgerà nela sala auditorium della MAiC, fondazione quest’ultima la cui attività rappresenta il momento attuale di quel percorso che, sotto la guida di Don Renato Gargini, nei decenni, e con varie articolazioni, proprio da Piazza Giovanni XXIII partì. Mi sembra una scelta opportuna e significativa.
Il nuovo funzionale centro rappresenta una vera eccellenza, talvolta non adeguatamente apprezzata, del nostro territorio. Entro la fine dell’anno la MAiC concluderà i lavori di ristrutturazione anche della vecchia sede che si affaccia su via San Biagio, rendendo il complesso ancor più bello e funzionale, vanto ed emblema del “privato sociale” nell’intero nostro Paese.
Anche all’esito di questo confronto sarà legata la nostra scelta definitiva per il 25 giugno, non essendoci, nel nostro DNA, la propensione ad “andare al mare”, votare bianco, o ancor peggio nullo ma nemmeno quella di cancellare con un getto di spugna le perplessità che ancora abbiamo sia nello scegliere Bertinelli, per la valutazione del quinquennio che ora si conclude, sia nel votare Tomasi, per certi aspetti del suo programma che non condividiamo. Ma anche per le evidenti differenziazioni, certamente a destra, ma anche a sinistra, tra i principi del popolarismo cristiano ed almeno alcuni dei movimenti politici nazionali che, dall’una e dall’altra parte, sostengono i due candidati al ballottaggio. Ci penseremo, rifletteremo, ed alla fine, speriamo bene!, decideremo.
Concludo questa chilometrica lettera proprio ripartendo dalla piazza dell’Ospedale e dalla MAiC, formulando l’auspicio che l’anno di Pistoia Capitale Italiana della Cultura possa concludersi con l’inaugurazione della struttura completa. Non voglio farmi prendere dall’enfasi ma sarebbe, a mio avviso, una splendida chiusura, a dimostrazione che la cura e l’attenzione verso l’handicap sono “cultura” vera, concreta, duratura e sostanziale. Magari con una riflessione la più approfondita ed unitaria possibile, anche con una riunione del Consiglio comunale all’interno del Centro, durante la quale sviscerare le problematiche concrete, da tutti noi spesso evocate ed elencate, che gli “ultimi” quotidianamente pongono a chi si trova ad amministrare una città!
Giorgio Federighi