PISTOIA. Sono dei turisti che sanno viaggiare, gli Omini; perché non si accontentano di occupare gli spazi teatrali che le varie location urbane concedono loro. Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini, prima di salire sul palcoscenico, vanno tra la gente: no, non vogliono lusingare il loro pubblico, specifico ed indigeno, ma vogliono capire come viva la gente che poi andrà a vederli.
Operazione antropologica interessante, dai risvolti piacevoli, perché questo è davvero uno dei modi nuovi di fare teatro. Capolino, in realtà, lo spettacolo al quale abbiamo assistito ieri sera al piccolo teatro Bolognini, è davvero uno spaccato generazionale molto, troppo italiano e terribilmente inflazionato, ma non per questo non vero. Una famiglia allargata con una moglie che è stata di due mariti, entrambi presenti, quattro figli, una delle quali in partenza per Melbourne, un altro da una settimana barricato nel gabinetto, i loro amici che festeggiano l’avventura australiana e tre nonni, una delle quali una molto devota, anche se a modo suo.
I tre attori montalesi, che sperimentano queste opportunità sceniche, scenografiche e di contenuti, seguono questo faticoso e divertente canovaccio da quando sono nati, nel 2006 e da allora, ogni volta, con loro, sul palco, salgono anche ragazzi allertati alla bisogna. Sono artisti residenti, che diventano cittadini dei posti dove si esibiscono: prendono un po’ di quello che trovano e lasciano quel che possono a chi ha voglia di raccogliere. Ieri sera, ad esempio, per questa tappa pistoiese, hanno alfabetizzato dodici studenti di alcuni istituti scolastici superiori pistoiesi e dopo averli prelevati e sottratti dagli impegni quotidiani, li hanno istruiti e trasformati, tutti, per una notte, re e regine.
I loro spettacoli sono brevi, intensi, diretti: vestono più abiti di diversi personaggi, esaltando una poliedricità recitativa notevole, rimbalzando con leggerezza e puntualità da una scena alla successiva esasperando ogni tematica. Ci si diverte, agli spettacoli degli Omini, perché sono fisicamente simpatici, perché tra loro corre un buon afflato e perché, probabilmente, inseguono, tacitamente, lo stesso identico risultato.
L’aspetto che poi prende il sopravvento, però, è la tristezza, quella sudamericana, quella che si ride lacrimando e si piange sganasciandosi le mandibole. Ma questa è solo una nostra personalissima impressione, della quale siamo così convinti che ci è parso doveroso raccontarlo anche a voi.