PISTOIA. Non ho mai scritto sugli esami di Stato, né parole al miele né di fiele. È un argomento che mi ha sempre interessato il giusto.
Ma come, direte voi, uno dei momenti significativi del nostro percorso terreno svilito dal disinteresse? Vi spiego il motivo.
In questa società, ove negli anni il disvalore ha vinto il valore, il merito, addirittura la coscienza, i maturandi devono sapere che la vita, sin qui per loro dolce favola o malinconica fase di passaggio, inizia il giorno dopo.
E come inizia? Con una consapevolezza: che ognuno il lavoro deve crearselo, senza cercare, come fatto da intere generazioni passate, l’aiutino, il “doping civile”.
Per anni, tanto per attenersi al mio settore, il giornalismo, sono andato a colloquio con direttori pavidi che, prima che incominciassi a parlare, premettevano “Non mi chieda il posto di lavoro”.
C’era da pensare – e forse da gridargli in faccia (cosa che non ho mai fatto per educazione ricevuta e pudore innato) – “Ma come, ho fatto chilometri per incontrarla e che cosa pensava venissi a chiederle, per quale squadra faceva il tifo da bambino (che adulto non è mai diventato)?”.
Ho capito, dopo molti sforzi e sacrifici, che la bellezza di questa professione è inventarsi, giorno dopo giorno, il lavoro, le cose da fare. È senz’altro più difficile, ci sono da superare mille ostacoli, si guadagna poco o niente, ma si può girare a testa alta, guardando tutti in faccia (mentre tanti volti, rossi come peperoni, s’abbassano quando li incroci, mettendo una tristezza infinita nelle ossa).
Signori maturandi, cari ragazzi: riappropriatevi della dignità. Non pensate a far carriera, ma a essere uomini. Tutto verrà di conseguenza.
Almeno si spera…