PISTOIA. La musica è come l’amore per i figli: è profondità. Se questo distico dovesse non piacervi, ve ne offriamo uno meno etereo: la musica non è saperla suonare, ma saperla dare (cit. Pino Daniele). E su quest’ultima definizione non possiamo che essere tutti d’accordo.
Questo per raccontarvi di ieri, venerdì 28 agosto, all’Altrove di Pistoia, dove in una serata particolarmente calda e accogliente, lo staff del ristorante ha chiamato a ravvivare una serata, altrimenti scontata (una pizza, un boccale di birra, due battute, vecchie e qualche ragazza, che sta invecchiando, che merita più d’uno sguardo), cinque musicisti.
Siamo arrivati in piazza d’Armi a concerto già iniziato; o meglio, siamo andati in piazza d’Armi proprio perché irresistibilmente convocati dal sound che si propagava nella notte di fine estate. Del concerto dei nostri amici, fraterni, ce ne eravamo, a dire il vero, dimenticati. Per fortuna, la musica ha questi poteri magici e per nulla occulti e quando inizia a emettere i suoi vagiti, il richiamo, nella foresta, gode di un tam-tam eccezionale e nel giro di breve, gli appassionati non diversamente e inderogabilmente impegnati, arrivano nei paraggi, presso, come si legge sui comunicati stampa.
All’Altrove, presso, non è un eufemismo: sono molti quelli che vedono davvero di cattivo gusto la discutibile usanza dei gestori, che consiste nel prezzare l’ingresso a chi ha cenato altrove (con la a minuscola), tanto che la musica, come ieri sera, se la godono proprio restando nei paraggi, presso.
Alla fortuna chimica di essere possessori del famoso microchip di cui vi stavamo parlando e che riesce a captare musica ovunque ci sia, aggiungeteci poi che una volta arrivati a destinazione, siamo stati invitati a dividere il tavolo con Luigi Tronci, suo figlio Damiano e Carlo Romagnoli, bassista con ironici attributi, che al di là dell’amicizia storica che ci lega e ci legherà per sempre, sono persone musicalmente altamente qualificate a disquisire. E vedere all’opera, in compagnia della Tronci dinasty e del bassista di Danny Bronzini, Vince Bramanti alla chitarra, Cris Pacini al sax, Enrico Cecconi alla batteria e Pippo Guerrieri alle tastiere, Hammond e varie alchimie tecnologiche è un piacere orgiastico, che si celebra e sublima con la voce, perfettamente modulata, di Elisa Ghilardi, la femmina del branco.
Chi ci segue più o meno sistematicamente quante volte avrà già letto mirabilia dei quattro strumentisti e della voce che rende l’offerta anche sensuale. Ma la musica, come sostenevamo all’inizio, è come l’amore per i figli, è profondità e ieri sera lo sparuto pubblico presente si è potuto inabissare fin dove non credeva si potesse arrivare.
Vince Bramanti, turnista di Mina, ha un’eleganza e una precisione didattiche al limite dell’irritazione (nelle due interpretazioni di George Benson, Give me the night e Turn your love around l’orbita si è avvicinata parecchio): è semplicemente esemplare, con un gusto e una gioia di suonare che somigliano quelle di un esordiente al quale una fattucchiera montenegrina ha già preannunciato il successo.
Cris Pacini è qualcosa che va oltre lo scibile: lo abbiamo conosciuto, più di venti anni fa, una sera, ad Agliana, mentre intento a dare fiato ad un sax e ad una tromba, per non annoiarsi, con l’altra mano, dipingeva pure. Da allora non ha più smesso di inanellare meraviglie: l’ultima, in ordine di tempo, è la tournée che lo ha visto accompagnare un jazzista che si chiama Gatto, tra i più importanti del panorama internazionale!
Pippo Guerrieri è la varietà personificata: riesce a calarsi nel groove di qualsiasi genere, senza classificazioni e senza contaminazioni morali; un anomalo direttore d’orchestra che trova tutta la sua concentrazione solo quando è cuffiemunito e può dare libero sfogo ad ogni distorsione.
Enrico Cecconi, passato dall’adolescenza alla pubertà fino alla maturazione seduto tra piatti (Ufip, naturalmente), tom e rullanti, è uno dei batteristi più accreditati, un professionista che si adegua con disinvoltura a qualsiasi evenienza scenica, a patto che ogni tanto gli si consenta il lusso di suonare con chi può esaltarne le doti: ieri sera, era una di quelle occasioni.
Elisa Ghilardi è una delle voci più belle in circolazione. Centellina con eccessiva parsimonia il proprio trasporto, tanto da voler restare bianca a tutti i costi, ma gode di una modulazione straordinaria e usa il diaframma con accorta e divertita professionalità. Sulla naturale bellezza della serata di ieri, le percentuali della sua responsabilità sono altissime.
È tardi ora, vi auguriamo la buona notte: ognuno si corica con la colonna sonora che merita.