ci fa senso. FERMATE I GIUDICI CHE VOGLIONO LAVORARE!

Il Tirreno, 9 ottobre 2015 - Monica Jacqueline Magi
Il Tirreno, 9 ottobre 2015 – Monica Jacqueline Magi

PRATO-PISTOIA. Pensavamo di averne viste abbastanza nel nostro quotidiano incedere di vita, ma che anche nella Magistratura, nello specifico quella di Prato, vigesse la regola di “lavorare il giusto”, come un tempo alla Breda pistoiese, proprio non ce l’aspettavamo.

Invece una giudice, la dottoressa Monica Jacqueline Magi, che calendarizza troppe udienze, rischia addirittura una sanzione disciplinare.

Questo ci narra la cronaca di Prato del Tirreno e non è possibile riflettere su quanto e come il mondo cammini alla rovescia e ribalti regole consolidate fra le quali è giusto punire chi non lavora e premiare chi, al contrario, lo fa: cioè lavora.

Leggendo l’articolo ci sembra di comprendere come ancora il sindacato dia di se medesimo preclara misura di quanto il “particolare”, cioè gli impiegati del Tribunale, venga difeso e avallato anche da superiori organismi (il Presidente del Tribunale) a scapito dell’interesse generale, quello dell’obbligo di amministrare la giustizia in tempi e modi ragionevoli e rispettosi delle giuste istanze di tutti coloro che a vario titolo debbono confrontarsi con la legge, siano essi imputati o testimoni.

Mancano i soldi per l’istruzione, per la sanità, per la viabilità, per la giustizia e vorremmo comprendere che fine fanno i soldi che ci vengono quotidianamente scippati da questo Stato corrotto e in putrescenza.

Tornando alla giudice, che vorrebbe lavorare ma è limitato dal personale amministrativo che è sotto organico e lamenta una miseria di straordinario, circa € 800, per tutto il 2015, ci verrebbe da controbattere che se è necessario “tirare la cinghia”, tutti lo dobbiamo fare a partire dal sindacato dei cancellieri per finire ai pensionati che si trovano aumenti di € 3 (tre) nei loro cedolini di pensione.

Pur non volendo entrare nelle questioni tecniche e procedurali che questa notizia fornisce, non possiamo non rimarcare che un settore vitale del nostro vivere civile può essere messo “sotto scacco” da poche unità di persone che avranno pure le loro buone ragioni, ma che dinnanzi all’importanza del lavoro svolto e da svolgere, preferiscono guardarsi in tasca e non pensare a quella collettività che alla legge si affida come arbitro superiore delle proprie istanze.

Diciamolo a chiare note, come alcuni avvocati amici ci hanno fatto osservare: in questo disgraziato Paese l’ordine, la gerarchia e il merito sono attributi sconosciuti e sottomessi al principio del menefreghismo istituzionalizzato.

Comanda il denaro, non la coscienza civile di una attività che è rivolta al prossimo e alle sue aspettative e necessità, quasi sempre vissute con tremore e ansietà.

L’Italietta della prescrizione, dei trucchetti procedurali e del tempo che trascorre e che tutto fa impallidire, offuscare e poi dimenticare, non è un’Italia di giustizia, ma solamente un’Italia di potere rozzo, arrogante e mal gestito.

Guai a mettersi di traverso a campioni così!

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