PISTOIA. Ci ha raggiunto in redazione, Fabrizio Geri, e ci ha raccontato una storia di ordinaria follia nel funzionamento della giustizia.
«Càpita di sentire in televisione di vicende assurde in cui persone semplici e umili si trovano a subire angherie e vessazioni proprio da chi dovrebbe garantire e tutelare il cittadino. E pensiamo: non può essere possibile. Invece e è possibile e ognuno di noi lo può malauguratamente toccare con mano».
L’ex consigliere intendeva dare ad un giovane quarantenne l’opportunità di lavorare: le condizioni c’erano tutte, il giovane aveva subìto un provvedimento di detenzione domiciliare di tre mesi ma con le dovute attestazioni e in determinati orari avrebbe potuto tranquillamente svolgere attività lavorativa. Tra l’altro il giovane in questione si trovava un’occupazione e quindi la possibilità di percepire un reddito non aveva motivo di essere ostacolata.
Invece, dopo i colloqui formali con l’ufficio del tribunale di sorveglianza di Firenze, con l’Uepe, ufficio esecuzione penale esterna di Pistoia, in via Gentile alle Fornaci, il nostro odontoiatra di Valdibrana ha provveduto a far inoltrare al proprio commercialista il contratto di lavoro con il dettaglio degli orari. Tuttavia solo ieri l’altro, 25 maggio, è stato contattato dalla Questura di Pistoia per formalizzare permessi e atti che da oltre un mese potevano essere espletati, se opportunamente inviati dagli uffici giudiziari.
Fabrizio Geri ha mostrato tutto il proprio rammarico per aver attivato i meccanismi burocratici del caso senza però che al diretto interessato arrivasse qualche beneficio: tra sei giorni scadono i termini della detenzione domiciliare e la lentezza della giustizia ha vanificato la premura per una soluzione dignitosa.
«Non parliamo di un Incalza, di un Tanzi o di uno dei numerosi faccendieri della politica che comunque hanno un sostentamento e starebbero tranquillante a casa: qui abbiamo un giovane che chiedeva di poter avere un reddito. Ho affrontato questo percorso a ostacoli burocratici e sono arrabbiato. Comprendo, in un certo senso, l’indifferenza serpeggiante nella nostra società: se vuoi fare qualcosa di buono rischi di trovarti fagocitato dal pantano della burocrazia. Pago le tasse a questo Stato di lobotomizzati, e non poche, perché non ho la residenza fiscale in Svizzera come tanti furbetti del quartierino: ricevo in cambio disservizi è ostilità.
«Al diavolo – continua Geri – tutta quella retorica sul lavoro e sull’attenzione ai detenuti, io ho fatto tutto, ma la macchina della giustizia mi è stata nemica. Evidentemente non tutti sono uguali davanti a leggi e norme: ci sono più pesi e ancora più misure. Se sei un bischero di Capostrada o di Corbezzi ti schiacciano, se sei un colletto bianco che hai contribuito magari a sputtanare il dissestato bilancio dello Stato i tempi della giustizia e della burocrazia magicamente si accorciano?».
Pensiamo, poi, che meriterebbe anche sviluppare le paradossali e grottesche circostanze che avevano determinato la detenzione domiciliare per il giovane a cui i tempi della giustizia hanno mostrato la banalità dell’immobilismo. Magari la racconteremo più avanti.
Rimane fuori di dubbio che in Italia, dove la certezza del diritto, del dovere della pena e delle garanzie viaggiano a giorni alterni, in base alle convenienze e secondo il più libero arbitrio degli uomini, l’unica certezza invariabile e è quella del buon senso.
Che manca proprio dove dovrebbe stare, condannandoci così, quando va bene, a vivere in una società di individui caricaturali.