PISTOIA. L’aria era diventata improvvisamente fredda, il cielo screziato di vermiglio tingeva i nuvoloni che sfumavano i tetti e il campanile.
C’era passeggio per strada, era giorno di mercato, negozi aperti, bar e vetrine in allestimento quella frenesia che anticipa il clima natalizio. La gente inserrata camminava guardandosi intorno, coppie abbarbicate, altre smunte, cani sciolti, i soliti gruppetti rom che chiedevano la questua laicamente in giro e molta indifferenza.
La città di Cino, si animava di un clima che voleva essere come le piccole città provinciali, di dolce cordialità che sterilizza anche le punte di diffidenza mentre si respira un clima rassegnato e stanco, gridi silenziosi che strusciano contro, solitudine travestita da contatti virtuali, manipolazioni cellulari viste alle vetrine e sfioramenti ascellari.
C’è chi si dà un contegno intellettuale, entra nella parte e si astrae dal contesto provinciale, credendosi magari di sorseggiare un caffè a Place de la Concorde o al Café de Flore, rimugina in cuor suo, mentre cammina sfiora i passanti, si dà arie da altolocato liberal progressista dalla cordialità manierata vista da sinistra che vuole qualcosa sotto sotto.
Sì perché se uno per un po’ se ne andasse di qua, cioè dalla degna tana, e poi ritornasse, capirebbe quel senso meschino provinciale pseudoamicale che anima le discussioni mentre ambisce ad una bora che scompigli tutti i loro sensi annacquati e spenti.
Ma poi camminando per il centro formicolato nell’ora del mercato s’imbatte negli scorci, nelle stradine già offuscate dall’incipiente crepuscolo, quelle viste da pittori, e allora si rianima, si riprende dolcemente e quel senso di spaesamento si dilegua, ritorna lo scalpiccio nei selci del passato, l’umido della pietra della Fortezza, la piazza del Duomo solitaria e il campanile che campeggia solenne con le luci della sera; il silenzio che si rapprende sul palazzo dei Vescovi, i tesori dei passaggi e le voci della storia di personaggi che da qui son passati.
I carri, i barrocci, i mestieri d’una volta si fermano per un momento e salutano il turista, il naufrago di oggi ricordandogli del tempo qui abitato, di quello che è stato.
Massimiliano Filippelli