PISTOIA. Forse non ha molto senso parlare di un libro prima di averlo letto. La case editrici però, nonostante condividano in pieno questo principio lapalissiano, continuano a sguinzagliare giovani autori in giro per le città a presentare la loro ultima fatica.
Così ieri, alla libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, in serata, è successa una cosa del genere: Giuseppe Grattacaso (ex Presidente del teatro Manzoni e poeta proprio da noi piacevolmente recensito e segnalato) ha autorevolmente presentato La linea di fondo (editore Nutrimenti), il primo (di una lunga serie di successo, gli auguriamo) romanzo scritto dal fratello Claudio.
Ne parliamo, consapevoli di contraddire bellamente le premesse fatte, perché ci ha convinto la lunga e ponderata dissertazione che Giuseppe ha tenuto sull’opera. Senza alcun naturale e plausibile coinvolgimento morale, umorale, fraterno. Le presentazioni servono anche a questo, si potrebbe obiettare: dare delucidazioni della trama, segnalarne qualche momento particolarmente importante e renderlo appetibile.
Siamo convinti che La linea di fondo, prima opera di Claudio Grattacaso, che vive a Salerno, dove insegna, sia davvero un romanzo che meriti tutta l’attenzione; e non lo diciamo perché su questo manoscritto già alcuni autorevoli recensori hanno speso parole di particolare conforto: lo facciamo intuendo che dietro la vita di Freccia, il protagonista del romanzo – un ex calciatore destinato al successo per le sue innate funamboliche doti il cui sogno si infrange in seguito ad un brutto incidente di gioco causato da una rude entrata di un avversario – si nasconde la parabola dei fallimenti di un’intera generazione, quella cresciuta a partite di calcio per la strada, a pomeriggi interi sacrificati sull’altare del flipper e che si è trascinata nel tempo a venire con la solita ludica, spensierata incoscienza, materializzandosi in matrimoni destinati alla separazione, con figli che stentano a riconoscere l’autorità paterna – un fallimento questo che raccoglie e suggella un’intera esistenza sbagliata.
Alla quale possiamo ancora dare un senso, a patto che si sappia che il senso di tutto soggiace, soprattutto, nella consapevolezza della nostra caducità, che è quella di Freccia, dell’autore, dei presenti, di chi scrive e di tutti noi, probabilmente.
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