COME SE IL TEMPO SI FOSSE FERMATO

Gli EW&F durante il concerto
Gli EW&F durante il concerto

FUCECCHIO. Scatenate l’inferno. Avrebbe iniziato così, Guido Meda, collega Mediaset, se gli avessero affidato la telecronaca del concerto degli EW&F, ieri sera, a Fucecchio, nel parco cittadino, pietra miliare della 19esima edizione della manifestazione Marea. Nemmeno la freschissima e bruciante eliminazione mondiale inferta agli azzurri dall’Uruguay, materializzatasi un paio d’ore prima del concerto, ha minimamente ridotto la voglia di ballare del pubblico.

Qualche mummia, ad onor del vero, ha provato a resistere alla tentazione, ma dopo le prime battute della sezione concertistica, i freni inibitori si sono smaterializzati, sbriciolati, polverizzati: il corpo, al cospetto delle note del gruppo, smette di rispondere ai soliti comandi celebrali e le contrazioni nervose iniziano a modularsi. Il bacino e i fianchi, scendendo nei dettagli scheletrici, assecondano la fusione sonora che si instaura tra un basso portentoso e una pluricomposta sezione fiati, che segue, a sua volta, l’equilibrio imposto dalla batteria e sollecitato dalle percussioni; la tastiera e l’organo regalano, all’atmosfera, il sapore di sinfonie passate, ma indimenticate, perché indimenticabili, supportate dalle note in falsetto dei tre vocalist.

Nel centro del palco, Maurice White, il padre fondatore della formazione, rinnovata, per cause di forza maggiore, nella quasi totalità dei membri originari. Ma la magìa che ha sprigionato, nel 1969, la nascita della formazione, è la stessa che si sono riusciti a tramandare tutti coloro che hanno indossato gli abiti della band. Che non sono più quelli spaziali e trash delle origini; ricordano ancora la moda gitana del Sudamerica, bianco e nero perlato di strass luminosissimi, con epe pronunciate oltre ogni ragionevole vizio culinario che non inibisce comunque assoli mozzafiato con gli strumenti e danze andine circensi.

E alla fine...
E alla fine…

Il pubblico si è meravigliato auto constatando come fosse numericamente esiguo rispetto alle lusinghe delle aspettative: si consuma una leggenda e siamo così in pochi a viverla, ci siamo silenziosamente chiesti tutti noi che stavamo sull’erba sotto il palco! Va bene lo stesso: stasera, noi non che non ce lo saremmo mai perso in qualsiasi modo, ce lo godiamo questo concerto, questo tuffo carpiato all’indietro con doppio avvitamento nel passato, quello delle discoteche aperte nel pomeriggio, per consentire ai teen agers di allora, oggi stempiati, con qualche chilo in più e parecchie illusioni in meno, di provare l’effetto disco.

Alchimia nostalgica resa possibile dalla incredibile longevità della formazione, sorda alle superstizioni (tredici, fra musicisti e vocalist), che riesce ad essere perfettamente identica a quella che fu, quando si presentò al mondo minacciandolo di poter creare un vero e proprio mito che non si sarebbe minimamente decomposto con il trascorrere dei decenni, che avrebbe saputo reggere l’urto di mode, costumi e tonalità e presentarsi, dopo 90 milioni di copie di dischi venduti e una collezione di Grammy da far accapponare la pelle, ancora con la medesima intatta voglia di divertirsi.

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