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CUTIGLIANO. È strano, ma il più delle volte le cose non sono mai quelle sembrano a prima vista. E quando tutto pare scontato e trasparente, chiaro di solare evidenza, ecco che iniziano a comparire particolari inattesi che mettono in dubbio l’architettura del progetto e rischiano di far crollare l’impalcatura, come quando a un arco viene a mancare la chiave di volta…
È questo che mi è venuto in mente prima di iniziare a parlare con Giuliano Sichi per la nostra seconda intervista con chi si appresta ad affrontare l’aula a causa del “disastro Comunità Montana pistoiese”. Un’aula, stavolta, piena di gente, visto che Sichi non sarà più solo – particolare, questo, che forse lo fa stare decisamente un po’ meglio…
D. – Il 7 febbraio ho letto sul Tirreno queste parole: «Impossibile per i dirigenti accorgersi di quelle appropriazioni. Sichi ha potuto fare quello che ha fatto avvalendosi di un buco normativo…», «I mandati di pagamento erano sottoscritti dal solo Sichi e quelli che costituiscono la fonte dell’appropriazione non erano inseriti nella contabilità: se li firmava da solo (il Sichi – n.d.r.) e li incassava. La legge gli ha permesso di fare ciò che ha fatto, nessuno se ne poteva accorgere…».
Questo non mi torna con ciò che è emerso dall’aula. Non era stato accertato, il 22 gennaio, durante l’interrogatorio di Cristiana Baldassarri e Lorenzo Fini, che i mandati venivano controfirmati anche dalla Dirigente Rosa Apolito? E se così è, come può l’avvocato Mencarelli affermare che lei «se li firmava da solo e li incassava» quei mandati? C’è qualcosa che non torna… non crede?
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R. – In effetti è così. Del resto neppure la signora Baldassarri riuscì ad essere molto convincente con una serie di lacune di memoria che non le permettevano di ricordare esattamente la meccanica e la dinamica degli eventi…
In aula il 22 gennaio abbiamo iniziato a parlare dei mandati di pagamento e delle cifre che io avrei sottratto. Innanzitutto è stato chiarito che cosa è un mandato di pagamento e poi è anche stato chiarito a cosa si riferiscono le varie voci contenute nel mandato: il numero del mandato, un numero che si riferisce al capitolo di bilancio cui è imputata la spesa del mandato stesso, e un numero che si riferisce al progetto dell’ente cui è legato quel mandato specifico.
Sono stati analizzati, nell’occasione, due tipi di mandati: quelli riferiti al capitolo 670 e quelli riferiti al capitolo 500. Degli altri non abbiamo per ora parlato; e su di essi non posso dire niente perché lo farò direttamente durante le prossime udienze.
In aula è emerso, innanzitutto, che coloro che hanno firmato la prima famosa denuncia contro di me non sapevano che cosa erano questi due tipi di mandati anche se loro li inserivano tra quelli incriminati! Ma soprattutto hanno affermato di non aver riscontrato se la documentazione giustificativa era all’Ufficio del Registro o in Regione.
Riguardo al fatto che la dottoressa Apolito controfirmasse i mandatati di pagamento incriminati almeno fino al 2005, ciò è emerso in modo documentale e è stato ribadito anche in aula sia dal Fini che dalla Baldassarri perché questi mandati contengono la firma della dirigente: quindi, ho falsificato anche quella…?
D. – Mi sembra di aver capito e letto, da qualche parte, che lei aveva in mano e si era tenuto le chiavi dell’ufficio, ma anche in questo caso mi pare che qualcosa non torni…
R. – In effetti è così, perché, qualunque cosa si dica sulle chiavi, io non ne ero in possesso. Ricordo che ero in ferie. Che parlai con il Sindaco Ceccarelli e che mi fu chiesto di trovarci a San Marcello per alcuni particolari da non discutere a telefono. Ci trovammo a San Marcello, in Comune, nell’ufficio della Cormio. E lì mi fecero sapere di una denuncia e mi fu dato un consiglio: andarmene in ferie, trovarmi un difensore. E mi fu fatto pure il nome: che, per ragioni di segreto istruttorio, non posso rivelare! Così feci nominando anche l’avvocato che mi fu consigliato, ma le chiavi io non avevo più…
D. – Un’altra cosa da chiarire bene, dunque… E poi?
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R. – E poi ci sono stati gli eventi che tutti più o meno conoscono. Forse a grandi linee e in maniera del tutto imperfetta e approssimata. Non si è visto anche con la testimonianza della Baldassarri che non sapeva dove poteva essere rintracciata la documentazione giustificativa dei mandati relativi alle spese di registrazione dei contratti e della rendicontazione dei finanziamenti della Regione?
Era così semplice, però… Basta andare all’Ufficio del Registro o in Regione. Erano 30 anni che lavoravo in comunità montana, con il massimo rispetto da parte di tutti: perché mai la Baldassarri, il Fini e tutti gli altri che mi hanno denunciato, prima di partire per la guerra, non hanno chiesto semplicemente a me dove era la documentazione giustificativa di tali mandati?
Gli avrei risposto «Signori, è all’Ufficio del Registro quella relativa ai mandati imputati al capitolo 670; e in regione quella relativa ai mandati imputati al capitolo 500.
D. – Torniamo un passo indietro… Ma perché l’avvocato Turco ha rimesso il mandato? Cos’è successo di così incrinante fra voi? Non è umanamente comprensibile un “divorzio” così bruscamente repentino. Mi permette di dire che è sospetto?
R. – Non posso rispondere: violerei il segreto istruttorio…
D. – È vero che l’avvocato Turco è consigliere della Fondazione della Cassa di Risparmio che all’epoca era tesoriere della Comunità Montana? Non era palesemente incompatibile, questo, con il mandato di difenderla?
R. – Mi spiace, ma non posso rispondere.
D. – Certo, Sichi, se con il suo avvocato lei ha esibito in aula prove che smentiscono la firma singola sui mandati; se siete in grado di dimostrare che una parte sostanziale della contabilità è reperibile in Regione; se addirittura, attraverso i Tesun della Banca d’Italia, si finisce per ricostruire con certezza (e dico con certezza) la coesistenza contabile della Comunità Montana; se tutto questo, allora nascono due o tre nuovi ordini di idee:
1. la relazione Eller non è poi così probante come poté sembrare nell’estate del 2012 quando fu presentata pubblicamente a San Marcello;
2. le indagini per accertare tutti i fatti contestati a lei dànno l’impressione, se non di non essere state esperite dal Pm, di esserlo state solo in maniera – come dire? – un po’ approssimata e… garibaldina. O sbaglio…?
R. – Non spetta a me dare dei giudizi. Ho deciso di affrontare il processo e parlare sarà: il collegio a stabilire e chiarire quello che lei si chiede e mi sta chiedendo.
D. – E se dovesse lamentare qualcosa di pregiudizievole e ingiusto nei suoi confronti…?
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R. – Sottolineerei soprattutto il fatto che, nel momento in cui si era in fase di segreto istruttorio, si tenessero assemblee pubbliche e si parlasse delle mie responsabilità come se fossi già stato giudicato e riconosciuto colpevole… È stato detto, dappertutto, con fin troppa leggerezza, che ero un privilegiato, che ero sorretto dalla destra e che potevo contare su una sorta di impunità…
D. – Già… Si era sentito parlare in questi termini. Oltretutto ci fu un momento critico in cui alcuni beni della sua famiglia furono bloccati e, poco dopo, sbloccati. Qualcuno addirittura si chiese (noi compresi) come mai lei non fosse stato arrestato e portato in carcere…
R. – Quello che vuole… Ed è pure comprensibile. Ma… provi a riflettere un attimo. Perché i miei beni furono sbloccati dal Gup? E perché non fui arrestato? Non sarà mica perché, obiettivamente, non c’erano sufficienti prove a carico della mia persona…?
Di fatto il Gup non accolse le ragioni del dottor Boccia. Un’altra cosa: la Guardia di Finanza ha preso e spulciato i conticorrenti, i depositi e i beni di tutta la mia famiglia e non solo, ma anche quelli dei miei familiari, figli compresi; ha fatto costosissime rogatorie internazionali addirittura nel Principato di Monaco. Non hanno trovato niente di quanto ci si sarebbe aspettato se l’ammanco fosse stato milionario come si è sempre detto. Dove potrei aver nascosto, allora, cifre di una consistenza che definire enorme è dire poco…?
D. – Un qualche dubbio questo discorso lo solleva, non c’è che dire. Ma torniamo per un istante ai famosi Tesun della Banca d’Italia. Fra l’altro sembra che neppure il Pm sapesse bene cosa sono…
Cosa possono rappresentare questi documenti? A che servono?
R. – Servono a dimostrare, senza possibilità di negarne il valore, che la cassa della Comunità non restò mai vuota. All’inizio c’erano 4-500mila euro. Dopo le denunce presentate dai dipendenti e il fallimento voluto della Comunità Montana, si registra una consistenza di cassa di circa 40-50mila euro – e sempre la stessa – dal passaggio della Cassa alla Provincia di Pistoia e fino ad oggi.
D. – E questo cosa comporterebbe in pratica…?
R. – Porta a un ordine di idee ben preciso e che è sinora sfuggito a tutti…
Gli enti pubblici fanno cassa non in loco (nella fattispecie la Cassa di Risparmio-tesoreria della Comunità), ma in Banca d’Italia.
Di fatto tutte le entrate consistenti, provenienti dalla Regione o da qualsiasi altro ente, entrano, sì, in tesoreria, ma da lì transitano subito dopo in Banca D’Italia.
D. – E tutto questo ha ripercussioni con la mancata approvazione del bilancio consuntivo del 2010?
R. – Anche qui ho detto tutto ciò che sapevo al Pm, che saprà fare le sue indagini e, dunque, saprà anche leggere i Tesun in tal senso. Io con il mio avvocato l’ho già fatto, ma non posso ovviamente rilasciare interviste su ciò: anche qui incombe il segreto istruttorio…
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D. – Allora, mi scusi, c’è un inghippo in più, non crede? Siamo dinanzi a una irregolarità che nasconde, di fatto, anche la mancata approvazione del consuntivo 2009… O sbaglio? Sembra quasi che si sia voluto vedere solo in una direzione, quella contro di lei Sichi…
R. – Sì. Sembra anche a me. Ma non andiamo più in là del dovuto. Le ho detto che sarà l’aula stessa ad aprire – almeno lo spero – gli scenari giusti per fare chiarezza, tutta la chiarezza possibile, sulla storia della Comunità Montana. Io da parte mia ho già iniziato a dire ciò che sapevo al Pm e continuerò a farlo in aula quando sarà il mio turno. Per ora ci fermiamo qui…
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Ripenso, analiticamente, a tutte le parole di Sichi. Le confronto, analiticamente, con quelle lette sul Tirreno. E alla fine mi viene da concludere con un ricordo manzoniano. Anche Manzoni – specie nella Storia della Colonna Infame – è stato, sotto ogni profilo, un ottimo cronista di giudiziaria.
Ma lo è anche quando, nei Promessi Sposi (cap. VIII, intrusione a sorpresa a casa di don Abbondio), dice: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo».
Ripensiamoci ancora. E speriamo che l’aula faccia luce su tutto – anche perché non siamo più nel 1600…